Un documento che fa i conti solo con i saldi finanziari che tornano sempre, ma che non si preoccupa delle ricadute sociali delle scelte che l’amministrazione ha preso per superare l’esame della magistratura contabile. Per sfuggire alla durezza dei numeri si dovrebbe cambiare agenda politica e amministrativa, rivedere la politica delle tariffe e delle tasse comunali per trovarne un’applicazione più equa, come nel caso della TARI sui rifiuti. Ma di questa necessità sindaco e maggioranza non paiono avere consapevolezza, preferendo attestarsi su una scelta di chiusura, che ben presto porterà a nuovi momenti difficili. L’intervento del consigliere Tarcisio Tarquini alla seduta consiliare del 21 aprile 2018 per l’approvazione del bilancio del comune.
Una premessa è d’obbligo dopo quanto è avvenuto nella seduta di giovedì scorso, sospesa e rinviata per mancanza di numero legale determinata dall’assenza di due consiglieri della maggioranza. Quello che è avvenuto non può essere considerato un semplice incidente di percorso, cui si può porre riparo senza che esso lasci traccia. Dei due consiglieri, uno – Maurizio Maggi – ha espresso una chiara manifestazione di dissenso politico, prima con l’intervento pronunciato nel Consiglio precedente, poi con l’abbandono dell’aula l’altro ieri; l’altra consigliera, Tommasina Raponi, spesso assente dalle sedute consiliari, non ha finora dichiarato in questo consesso se abbia o no ragioni di dissenso con la maggioranza di cui fa parte e perciò il suo atteggiamento, da molti interpretato come segno di distanza dalla politica e dalle scelte della maggioranza, è di meno semplice decifrazione. È bene che si faccia chiarezza, in questa sede, se esista un contenzioso, su cosa verta e su cosa questo significhi per la stabilità di questa maggioranza amministrativa.
La città, anche per scelte sbagliate che sono state compiute, si trova di fronte a un passaggio difficile, per questa ragione non sono consentiti a nessuno comportamenti equivoci. A tutti si chiedono assunzioni di responsabilità. I cittadini, e noi che li rappresentiamo, hanno il diritto di sapere se esista ancora una maggioranza, se questa maggioranza non ci sia più, se si stia dissolvendo sotto il peso di contraddizioni di carattere politico, se sia appesa al filo di ricatti, capricci, personalismi, dei quali purtroppo in questi mesi abbiamo più volte dovuto registrare l’esistenza e la capacità di condizionare le scelte amministrative. Chiarire questo punto è un atto dovuto e sarebbe da irresponsabili eluderlo. La minoranza, abbandonando la seduta, ha compiuto un atto politico esemplare per rivendicare il rispetto dei ruoli e di questa assemblea e per sollecitare risposte all’altezza della gravità del momento. Noi, e credo che questo pensiero interpreti il pensiero di tutti i consiglieri dell’opposizione, non ci lasceremo trascinare nella logica degli scontri interni al gruppo di maggioranza; nessun consigliere della maggioranza pensi di poter utilizzare la minoranza per regolare i propri conti dentro al suo partito o al suo gruppo. Chiediamo rispetto per questo Consiglio comunale e per questa città. Siamo disposti a confronti e battaglie per spostare l’asse politico e amministrativo, cercando l’incontro con tutti coloro che si mostreranno disposti verso lo stesso obiettivo; siamo persino disposti a dimetterci, chiamando tutti alla responsabilità di farlo con noi, se la crisi della maggioranza – non determinata dai consiglieri dissidenti di oggi o di domani ma dall’incapacità di trovare risposte alle difficili questioni che abbiamo davanti – dovesse confermarsi in tutta la sua evidenza. Non siamo disposti a tollerare “il tirare a campare” che sta soffocando la nostra città.
UN ENTUSIASMO IMMOTIVATO
L’approvazione da parte della Corte dei conti del piano di riequilibrio finanziario non sposta di una virgola le considerazioni che ho in animo di fare sul documento di bilancio che ci è stato presentato e del quale si richiede l’approvazione. Non comprendo, infatti, l’entusiasmo del sindaco per l’approvazione di un piano che è stato approvato, secondo la logica puramente contabile di cui dispone la Corte dei Conti, perché i conti alla fine almeno sulla carta tornano. Poco importa se siano i conti sociali a non tornare e che l’esecuzione del piano determini oggi e più ancora domani squilibri sociali di cui noi come organismo politico dobbiamo accettare il carico e che purtroppo non possiamo delegare, trasferire ad altre istanze, altri organi, altri consessi. Chiariamo, dunque, ai nostri concittadini, per onestà prima ancora che per prudenza, che da oggi in poi il comune di Alatri rischia d’essere nei fatti commissariato da una sorta di “troika” che sorveglierà i nostri comportamenti giudicando sulla loro virtuosità, una virtuosità però che non mette nel conto gli effetti sociali delle scelte compiute ma solo quelle finanziarie, come avviene e come deprechiamo spesso, parlando del nostro governo nazionale in rapporto alle regole europee.
Uso il verbo “rischiare” per dire che, pure nelle condizioni di oggi e dell’ingessatura del bilancio che subiamo, potrebbe aprirsi uno spazio per la politica, intesa come rappresentazione e risposta alle esigenze vere della comunità, quelle immediate ma più ancora quelle di lungo periodo. Ed è proprio questo che ci sembra il punto debole dell’intera vicenda che viviamo, quello che il nostro Consiglio comunale potrebbe aiutarci a superare se solo volesse, in questa sede, riassumere in sé, nelle sue funzioni istituzionali, un compito ambizioso che gli è proprio: programmare e controllare, dare l’indirizzo politico e accertarsi che esso sia attuato, lasciando poi a tutte le autonomie dell’amministrazione lo spazio di affermarsi e di operare per raggiungere gli obiettivi che ci siamo dati.
Una questione preliminare legata all’importanza di questo documento e al momento che la nostra comunità sta vivendo. Il bilancio è un passaggio che mai come oggi tocca le condizioni concrete delle nostre famiglie e di tutti i cittadini e per qualcuno quelle della sua stessa esistenza. Sarebbe stato necessario discuterne, farne un momento di grande consultazione popolare, di ricerca comune di soluzioni che possano permettere a tutti di superare insieme un momento tanto difficile.
IL SUPERAMENTO DELL’EMERGENZA DEVE COINVOLGERE TUTTI
Lo abbiamo chiesto fin dal primo momento, perché se è vero che stiamo immersi in un’emergenza di cui conosciamo giorno per giorno risvolti nuovi e conseguenze inaspettate, è altrettanto vero che l’obiettivo del superamento dell’emergenza deve coinvolgere tutti, attivare tutte le risorse. Non può essere intesa come un problema tecnico o amministrativo da confinare alle scelte o agli espedienti che si scrivono sui bilanci senza considerare insieme, con un atto di apertura, tutto ciò che le scelte comportano, le ricadute che hanno e le misure compensative che occorre ideare per evitare che i costi siano devastanti e gli effetti depressivi incancellabili.
Gli strumenti ci sono. E sono da utilizzare non solo nei momenti di crescita o di disponibilità delle risorse. Penso al bilancio partecipativo (si fa a Ferentino e, soprattutto, a Veroli) che normalmente serve ad allocare in maniera condivisa risorse per opere pubbliche, assegnando priorità a quelle scelte dai cittadini (con la coniugazione di scelte generali con opzioni specifiche), ma che può essere volto anche “a contrario”, e cioè per scegliere cosa “cancellare”, cosa “eliminare”, cosa “tassare” e come tassare per assicurare la sostenibilità della finanziaria. Un approccio di questo tipo – per comodità definiamolo partecipativo – avrebbe fatto di questa contingenza negativa del comune, una opportunità per il suo rilancio, sarebbe servita a creare il clima psicologico indispensabile per evitare che il rancore che contrassegna ormai da troppo tempo il rapporto tra cittadini e istituzioni (compresa la prima, che è il comune) si inasprisca ancora di più, tolga energie attive, distolga dai compiti che abbiamo davanti e che non possiamo e dobbiamo delegare a nessuno, ma sono da assumere su di noi comunità di cittadini e amministratori per intero.
L’INFORMAZIONE DEVE ESSERE CHIARA
Manca ancora l’informazione sufficientemente chiara sui nostri conti, l’informazione resa ai cittadini. C’è la legge (art. 11 del del d.lgs 169 del 2014) che obbliga alla stesura di un bilancio “semplice” (accanto alla versione completa, nella quale forse inevitabilmente abbondano i tecnicismi di ardua comprensibilità) per dare in modo sintetico e leggibile ai cittadini le informazioni su questo atto decisivo della vita amministrativa. Si dice spesso – in questo Consiglio ho suscitato io per primo il problema nella seduta di apertura di questa consiliatura, poi è stato ripreso e sostenuto più volte dal consigliere Borrelli – che sarebbe necessario dotare il comune di un piano di comunicazione, peraltro previsto dalla legge. La comunicazione istituzionale – che è ben diversa dalla propaganda – ha una sua caratteristica che ne contraddistingue la funzione, quella di partire dal bisogno informativo del cittadino e dare risposte a questo bisogno. Dobbiamo comunicare non tanto quello che noi vogliamo che i cittadini conoscano quanto, piuttosto, quello che i cittadini hanno bisogno di sapere, ciò che risponde al loro bisogno informativo. E non c’è dubbio che il bilancio, le scelte in esso compiute e il perché siano state compiute, costituisce oggi gran parte del bisogno di informazione e perciò del nostro obbligo ad informare.
La strategia invece scelta dall’amministrazione comunale, in tutti questi mesi, è stata prima quella della negazione del problema, poi quella dell’ammissione parziale con il rinvio delle responsabilità della situazione attuale a periodi amministrativi precedenti e, infine, con la minimizzazione di quanto è stato deciso di fare, e cioè il piano di riequilibrio con i costi connessi, che è un atto non all’altezza – non voglio inasprire i termini – di quanto sta avvenendo. Se si continua su questa strada, non ne veniamo fuori. E non ci sarà mai da parte nostra la piena consapevolezza di quanto è avvenuto, perché e come risolverlo.
LE CAUSE DELLO SQUILIBRIO
L’analisi delle cause dello squilibrio dei conti l’abbiamo fatta più volte. Lo riassume con chiarezza la Nota integrativa del responsabile finanziario: squilibrio strutturale della spesa corrente “strutturalmente elevata”, nuovi criteri di contabilizzazione delle entrate tributarie, difficoltà a riscuotere i tributi con pesanti riflessi sulla liquidità, che ha acceso focolai diffusi di ulteriore squilibrio. Potremmo dire: una tempesta dei conti perfetta, in cui si concentra tutta la negatività di un bilancio pubblico, messa alla luce dall’abrogazione di pratiche illusionistiche su cui tanti bilanci degli enti, non solo il nostro, si sono retti per anni.
L’elemento della responsabilità politica è del tutto evidente. La stessa nuova normativa contabile non è stato altro che il detonatore che ha portato a esplodere una situazione di squilibrio presente, esistente, non certo inventata.
Ma la responsabilità politica – non mi interessa tornare sopra su quanto condivisa e su come si ripartisca sulle diverse amministrazioni comunali succedutesi da quindici anni a questa parte – è evidente su tutti i punti di crisi. La spesa strutturalmente squilibrata non nasce per caso, è frutto di scelte. La difficoltà della riscossione, tema noto almeno dal 2009, come è scritto nella Nota integrativa, è conseguenza di disordine organizzativo e di clientelismo politico. Questa situazione – i cittadini ne prendano coscienza e poi si comportino come meglio credono, ma non si permetta che ignorino i fatti – non nasce dal caso, dallo scherzo del destino o dal cattivo volere della legislazione statale.
C’è una responsabilità che va oltre noi, di tipo diverso. Riguarda la stretta finanziaria che ha caricato costi e tolto risorse ai comuni e rispetto alla quale pure gli enti territoriali, le associazioni che dovrebbero rappresentarli, hanno responsabilità, quanto meno di omissione di difesa e di acquiescenza ai diktat politici. Ma questo è un problema di classe dirigente locale sempre meno autonoma e legata a filo doppio con le fortune dei gruppi dirigenti nazionali da cui dipende e a cui feudalmente si affida (il discorso delle “filiere”, è quanto di più insincero e arretrato possa sentirsi nel dibattito amministrativo).
LE NOSTRE DOMANDE
Ci sono domande da porre. È inevitabile questa manovra? È sufficiente? È inevitabile un piano di riequilibrio come quello presentato? È sufficiente? È inevitabile questo bilancio di guerra? È sufficiente? Si poteva fare diversamente? È ancora possibile fare diversamente, proporre qualche cambiamento?
Se restiamo alle cifre, ai saldi c’è qualcosa che si può sicuramente rivedere. Le uniche variazioni rispetto al piano di riequilibrio – perché qualche cambiamento c’è stato – concernono il piano del personale, la cui spesa è ulteriormente ridotta rispetto alle previsioni precedenti e certamente si sarebbe potuto più saggiamente lasciarla così come fissata nel piano cercando di utilizzare il risparmio del turn-over per qualche unità in più. Magari in settori dove è conclamato il bisogno di nuovo personale, come nella polizia municipale dove le uniche entrate previste sono il rimpiazzo delle unità che andranno in pensione, in una sorta di gioco a somma meno zero che abbiamo denunciato altre volte.
Ma variazioni, già dalla passata seduta del Consiglio comunale, avremmo potuto apportare sul livello delle tariffe. È riconosciuto da tutti il peso esorbitante della TARI, per esempio, aggravato dalla disposizione legislativa che obbliga a caricare sul costo della tariffa la cosiddetta morosità, che va recuperata ma non è da confondersi con i crediti non più esigibili. Se andiamo ad analizzare quanto viene fatto dai comuni su questo stesso aspetto ci accorgiamo che la stessa tariffa poteva essere attenuata alleggerendo questo elemento del costo, perché se può avere un senso – e stento però a comprenderlo – di ridistribuire somme che non si possono incassare più, non ha sicuramente senso, e forse nemmeno legittimità, ridistribuire somme non ancora divenute inesigibili. Con l’effetto di deresponsabilizzare dalla fatica della riscossione da parte dell’ente o del soggetto incaricato (e anche della ditta concessionaria del servizio di raccolta), rifugiandosi nella comoda scorciatoia del prelievo a carico del contribuente leale.
Questo lato della questione meriterebbe un approfondimento ulteriore sull’attività svolta dal vecchio soggetto esattore. E proprio sul punto delicato della dichiarazione di inesigibilità dei crediti, che ha bisogno di atti formali e di conclamato esito negativo di tutte le attività di riscossione messe in essere per essere fatta e accettata come credibile. Mi è stato detto dal responsabile dell’ufficio che sono state inviate diverse lettere all’Equitalia (responsabile per il passato) e che ad esse si è risposto assicurando che ogni tentativo di recupero era stato fatto diligentemente. Ma è una questione sulla quale accontentarsi di uno scambio di lettere? Sono state avviate azioni per verificare che sussistano, e prima che ne decadano i termini, le condizioni per essere risarciti? Prima di scaricare sui cittadini il costo di un disservizio organizzativo o di una omissione sarebbe necessario dimostrare quanto si è fatto per evitare questo danno. Se non si fa, la tassa – questa voce della tassa – non ha legittimità. È una questione politica, il contenzioso con Equitalia è politico, non può essere governato da uno scambio di lettere che muore lì.
E’ UN BILANCIO CREDIBILE?
Questo bilancio è credibile? I numeri sicuramente quadrano, come del resto quadravano anche prima. Ma la sostanza dietro questi numeri e previsioni? Faccio un solo riferimento, perché il più evidente. Il piano delle alienazioni dei beni pubblici. In bilancio abbiamo una cifra di oltre 650 mila euro, ma adesso scopriamo che la realizzabilità di questa entrata non è ancora certa e non solo perché si tratterà di attuare una vendita che ha tutte le incertezze che sono legate a un processo di questo tipo, ma anche perché questi beni da vendere non sono ancora accatastati e cioè nella piena disponibilità formale del venditore. Mi chiedo, si può approvare un bilancio –nella sua parte autorizzatoria non in quella puramente previsionale – che reca in sé questa incertezza?
Restano in questo bilancio i tagli previsti e i rincari tariffari stabiliti che colpiscono a pioggia, dai parcheggi alle mense. È confermata la cancellazione dell’asilo nido; quando questa decisione si è tradotta nella previsione zero del bilancio il vice sindaco delegato agli affari sociali ha tentato di rassicurarci dicendo che alla fine qualche soluzione, qualche fondo oggi imprevisto ma possibile, si sarebbe concretizzato a salvare questo servizio. Siamo arrivati a fine aprile, l’asilo nido è finanziato fino a fine giugno, e ancora la casella della spesa del comune è ferma sullo zero. Sarebbe da fermarsi sul punto, ma forse il Consiglio dovrebbe mostrare di avere maggiore attenzione verso un servizio che fa la qualità del welfare comunale e che oggi si mette da parte. Abbiamo avuto mesi per cercare una soluzione, per coinvolgere la parti sociali, i genitori, gli educatori a suggerire un sistema che consentisse di abbassare i costi ma di salvare il servizio. Non è avvenuto, per la solita chiusura, il solito metodo di tirare avanti con mezze verità, molte bugie e poca attività.
Facciamo un esercitazione. Andiamo a leggere il programma di mandato del sindaco, il Dup che individua le missioni e dà enfasi alle missioni stesse – che dovrebbero segnalare la qualità della politica dell’offerta amministrativa – ci rendiamo conto che stiamo parlando di un mondo diverso da quello che il bilancio adesso e il piano di riequilibrio che sta alla sua base ci propongono. Il documento è articolato in missioni appunto. Se facciamo una semplice operazione di benchmarking con un comune che abbia più o meno la nostra ampiezza demografica leggiamo il senso di marcia opposto che il nostro comune sta seguendo, ma ha seguito anche in passato, rispetto alle medie dei comuni italiani, che certo non hanno problemi minori dei nostri. La nostra crisi finanziaria si è inserita su una struttura già squilibrata, priva di linee guida vere, scritte e perseguite con stanziamenti adeguati. Per come funzionano le cose da noi, su questa strutturata spesa storica si sono innestati i tagli, i contenimenti apportati rendendo così ancora più squilibrata la situazione.
Abbiamo una questione sicurezza che continuiamo a trascurare. Abbiamo una situazione urbanistica che non è governata – anche nel bilancio i proventi delle costruzioni edilizie sono allocati su più voci senza che nessuna di queste (per esempio la rigenerazione del centro storico) abbia prevalenza rispetto alle altre, acquisendo una centralità strategica dell’operato amministrativo.
RENDERE PRODUTTIVA LA SPESA PER I SERVIZI ISTITUZIONALI
Dalla lettura dei dati emerge un altro paradosso rispetto a quanto avviene in comuni della nostra stessa dimensione, il peso percentualmente preponderante della spesa comunale destinata ai cosiddetti servizi istituzionali, la categoria nella quale si riassume l’insieme delle risorse destinate al funzionamento della macchina comunale. Questa spesa ad Alatri supera gli 8 milioni di euro e rappresenta il 40% della spesa, mentre la media nazionale si attesta intorno al 30% (Fonte IFEL centro di documentazione per i comuni). Si tratta dunque di una spesa elevata, che ha varie ragioni – la percentuale denota la sofferenza delle spese destinate ad altri settori – sottrae risorse al resto dell’attività comunale, e che, comunque la si voglia vedere e giustificare, pone tuttavia il problema di renderla produttiva, di farne un volano di sviluppo e non un focolaio di improduttività.
L’organizzazione del comune è uno dei punti deboli su cui si continua a sorvolare. Oggi questo è un vero e irrisolvibile punto di crisi. Ogni piano di risanamento richiede capacità e velocità della macchina comunale, in tutti i suoi settori. Dopo il piano di riequilibrio, anzi insieme o forse prima, si sarebbero dovuti varare gli strumenti per rendere efficace il piano stesso. Per adesso questo Piano e il bilancio conseguente sono una successione di cifre che puntano all’equilibrio dei saldi ma senza indicarci come quei numeri possano tradursi in realtà. È un paradosso: una crisi che ha al suo interno una evidente componente organizzativa viene affrontata lasciando in sostanza invariata, o forse anche peggiorandola, la strutturazione organizzativa, per la quale si ricorre all’adeguamento formale ma non si provvede al vero miglioramento operativo.
Basta soffermarsi sulle vicissitudini delle nostre gare. Oggi, per esempio, ci si accorge che la gara per la Piscina comunale, pur dopo anni di proroghe, non si può fare nei termini più convenienti e definitivi per l’amministrazione, ma anche per le ditte concorrenti che aspirano a gestirla, perché la nuova stazione appaltante reputa di non possedere i dati necessari. Chi avrebbe dovuto darli questi dati? Da quanto tempo avrebbe dovuto darli? Sulla base di quali dati la piscina è stata appaltata fino a oggi?
La gara della nettezza urbana rivela una stessa storia. Una gara di appalto già indetta che frana su una valutazione sbagliata dell’appalto e che perciò deve esser ulteriormente rinviata previa ennesima proroga. Chi doveva dare i dati? Perché non sono stati dati nel modo giusto? Anche in questo caso sarebbe ingiusto puntare il dito accusatore contro chi è arrivato adesso, o addirittura contro il responsabile dell’ufficio. Si scontano ritardi lunghissimi che naturalmente, allo scatenarsi della tempesta perfetta, piombano oggi tutti violentemente sul nostro capo.
LA NUOVA AGENDA POLITICA
Ma questo discorso sulla macchina amministrativa inadeguata perché priva di indirizzo politico riguarda anche la capacità, oggi determinante per tutti gli enti, di attivare finanziamenti non statali, di cogliere opportunità per lo sviluppo legate a iniziative, a bandi, a risorse provenienti dall’Europa, parte dei quali transita attraverso la Regione. Per essere presenti su questo fronte bisogna avere una capacità progettuale che non vediamo perché per vederla il comune dovrebbe avere strutture organizzative e competenze che non ha e se le ha non sono messe nelle condizioni di operare, non hanno il contesto politico-amministrativo più adatto per esprimersi.
È stato detto alcuni giorni fa dal sindaco nella conferenza stampa in cui ha comunicato la decisione della Corte dei Conti sul Piano di riequilibrio che siamo a un punto di ripartenza e che il periodo duro è stato oltrepassato grazie alla benedizione dal collegio dei giudici contabili. È un ottimismo che a me sembra eccessivo, forse fuori luogo. Domandiamoci tutti se stiamo vedendo un cambiamento di atteggiamenti, di metodi di lavoro, di approcci amministrativi che lascino intendere che la lezione è servita e che il costo che tutti ne paghiamo sia proporzionato ai vantaggi che ne otterremo. Non vedo segnali confortanti. Nell’ultimo consiglio c’è stato un intervento durissimo del consigliere Maggi che praticamente in un unico discorso ha sintetizzato, con efficacia che forse noi dell’opposizione non siamo riusciti a raggiungere prima, tutte le storture strutturali, non personali, di questa amministrazione. La sua chiusura motivata da un’ipotetica autosufficienza, il ricatto delle consorterie interne, l’avvicinamento dell’orizzonte temporale delle scelte commisurate all’immediato o poco più.
Se vogliamo cambiare pagina davvero, c’è bisogno di una nuova agenda politica della nostra città, di una partecipazione allargata a tutti quelli che hanno idee da proporre e spirito adatto a realizzarle. Avremmo dovuto elaborare un bilancio altro da quello contabile, chiamiamolo un bilancio il cui alimento principale fosse l’energia dei cittadini, il loro nuovo protagonismo civico. È quello in cui confidiamo per rilanciare la nostra città ed è, però, quello che non vediamo incoraggiato, facilitato, richiesto nel bilancio che abbiamo davanti e che perciò non possiamo approvare.
(Tarcisio Tarquini, 21 aprile 2018).