L’azzardo morale che avvilisce la politica, impoverisce le istituzioni e umilia le persone.

stefanodiscanno@l’inchiesta intervista a Tarcisio Tarquini. Mercoledì 9 giugno 2021

Lei si definisce di centrosinistra, ma a livello cittadino e provinciale ha scelto un’alleanza civica con personalità di provenienza diversa, non le sembra contraddittorio? E se non lo è, può spiegare le ragioni della sua scelta?

«Io stento ad inserire il discorso del centrosinistra provinciale, così come anche quello del centrodestra, dentro classificazioni tradizionali, quelle a cui sono abituato. A me sembra più che altro di vedere un agglomerato informe di carattere politico-elettorale che attraversa gli schieramenti, e si regge sull’utilizzazione del potere acquisito all’interno delle istituzioni e sull’abile capacità di ridistribuirlo. Parlare di centrosinistra, quando si vedono comportamenti che sfuggono alla nostra tradizionale idea di cosa significhi l’essere di centrosinistra e che sembrano ignorare cosa comporti il ruolo di riformatori della società e delle istituzioni tipico delle formazioni di centrosinistra, mi pare quasi una truffa, un camuffarsi nominalistico per coprire un quadrante vuoto del potere. Da non so quanti anni a me sembra che nella nostra provincia – non so altrove, ma temo che non sia molto diverso – governa un partito trasversale che al momento decisivo punta allo stesso obiettivo, la riproduzione dell’equilibrio esistente. Del resto non le rivelo nulla, molte cose le ho apprese dal suo giornale e dai suoi corsivi nelle cui argomentazioni mi capita quasi sempre di riconoscermi. Lei sente più parlare il centrosinistra – che è figlio della tradizione politica e culturale cattolica, socialista e comunista – di società, di protezione dei ceti più deboli, di promozione del merito accanto alla cura dei bisogni? No, si parla di consorzi, di fusioni, di società, si annunciano finanziamenti e investimenti con piani mirabolanti di promesse e che, alla resa dei conti, si rivelano, nel migliore dei casi, solo abili costruzioni propagandistiche e ammiccamenti ai gruppi di interesse economico gravitanti nell’orbita della cosiddetta politica. In un mondo di precarietà dilagante, l’unica cosa che non cambia, e sembra vivere al sicuro dai rovesci del nostro tempo, sono i privilegi di questo nuovo ceto politico. È banale, ma è la verità.

La precarizzazione ci fa subito pensare ai posti fissi alla regione Lazio e ad una vicenda che, senza entrare nel merito, ha portato molti a rispolverare il vecchio rebus dell’esistenza di una grande questione morale tra quanti si cimentano nella gestione della cosa pubblica. Cosa ne pensa?

«Si tratta di una questione morale e politica allo stesso tempo. E che, senza entrare nel merito di vicende giudiziarie in corso e senza voler anticipare giudizi che non ci spettano, rivela una trama di comportamenti che tocca il sistema politico nel vivo, per come si è andato formando a livello regionale. Io sulla questione dell’ormai noto concorso di Allumiere sono intervenuto pubblicamente anche in Consiglio comunale. Mi hanno colpito – e questo è quanto ho voluto sottolineare – le timide reazioni ad avvenimenti e comportamenti che toccavano l’essenza stessa della politica e del ruolo delle istituzioni, e cioè il rapporto di fiducia tra eletti e elettori. Davanti ai tentativi di minimizzare mi è tornata alla mente una vecchia osservazione di Benedetto Croce, quando il filosofo, parlando dello scandalo della Banca Romana a fine secolo XIX, scriveva che se c’era stato lo scandalo c’era stata però anche una forte reazione allo scandalo da parte della società italiana del tempo, segno che essa era sana, capace di creare gli anticorpi per contrastare la corruzione. La reazione è proprio ciò che mi sembra sia mancato oggi, e quella che c’è stata mi è sembrata per lo più mossa dalla volontà di regolare conti politici tanto che oggi essa sembra essersi sopita in attesa di non si sa bene cosa. C’è anche chi ha detto che non bisogna meravigliarsi perché “così fan tutti”, ed è vero, basta pensare che quello che oggi sembra avere una prevalente matrice piddina qualche anno fa è avvenuto, in proporzioni ancora più eclatanti, per mano del centrodestra. Gli uni e gli altri comunque bene attenti a farsi regali reciproci.

C’è un altro aspetto, però, di cui si parla poco: vede implicate persone, professionisti, che seguendo la strada maestra avrebbero potuto raggiungere i posti e le soddisfazioni professionali  cui ambivano e che, invece, si sono messi nelle mani dei “politici”. L’insegnamento che questa classe politica  vuole far passare, infatti, è che le stesse fortune professionali debbano essere subordinate a un atto di vassallaggio: tu per fare quello che meriti hai bisogno di noi, devi sottometterti. Sembra essere questo il monito, al quale non tutti paiono pronti a resistere. C’è poi un problema di regole, che l’affaire Allumiere ha evidenziato e che vanno cambiate. Ma questo è un tema più generale, che riguarda come le istituzioni si sono modellate in questi anni sotto i colpi di leggi elettorali frutto delle convenienze e della confusione del momento. A me pare che la mancanza di sensibilità istituzionale e di regole che sappiano presidiare la correttezza delle istituzioni abbia incoraggiato a tutti i livelli “l’azzardo morale”, una nozione sociologica e economica che possiamo riassumere nel fatto che si compie un’azione che si sa illegittima ma si scommette che non verrà mai punita, censurata.  

Può spiegare meglio?

A me è capitato in Consiglio comunale, quando la maggioranza ha approvato delibere viziate, in alcuni casi contenenti disposizioni illegittime o addirittura esplicitamente contrastanti con la legge. Un colpo di mano a forza di maggioranza, nella presunzione che la minoranza, per l’assenza di un suo potere di contrasto, sarebbe stata costretta a prenderne atto. Lei pensi che l’unica strada per opporsi è il ricorso al Tar e che molti Tar non riconoscono al singolo consigliere comunale l’interesse legittimo di costituirsi in giudizio contro decisioni che pure riguardano la collettività che rappresenta. Ad Alatri, ma credo che quello della mia città non sia un caso isolato, sono passati stravolgimenti, “forzature”, che hanno modificato lo stesso statuto dei poteri di organi come il Consiglio comunale senza che le denunce mie e della minoranza servissero a scongiurarli. In un certo senso, l’azzardo morale è stato istituzionalizzato, è diventato norma da comportamento deviante che meritava di essere sanzionato e impedito. A mio avviso, è un tema chiave della politica istituzionale del nostro paese: se si scioglie questo nodo, se si ristabilisce un equilibrio dei poteri e si garantisce un autonomo potere di controllo delle opposizioni o di chi dissente dalla maggioranza si scioglie anche l’intreccio trasversale che rende opaca la politica e la allontana da quell’idea alta che la nostra generazione è, per fortuna, riuscita a conservare.

Due inchieste giudiziarie: l’Acea e i rifiuti. Hanno avuto esiti clamorosi ma ne hanno parlato in pochi, c’è stato il silenzio della politica. Perché?

«E’ vero, è giustificato parlare di silenzio della politica, per lo meno di gran parte del mondo politico. Abbiamo notato e denunciato questo silenzio. Hanno parlato i Comitati e movimenti per l’acqua pubblica, noi consiglieri senza apparentamenti politici, alcuni sindaci. Dai partiti, dai vertici delle istituzioni locali e regionali nemmeno un balbettio. Pensiamo alla gravità di quanto la puntigliosa inchiesta della magistratura  ha portato alla luce sull’ACEA, sui trucchi che avrebbero gonfiato per anni, da sempre, le tariffe pretese nelle bollette. Rispetto alla portata dell’inchiesta non c’è stata quella sollevazione che ci si sarebbe aspettati, non c’è stata, per ripetere la formula crociana che ho ricordato prima, la reazione allo scandalo, segno di rassegnazione, assuefazione, di una società politica e civile che ha perso i suoi anticorpi. È il segnale di un sistema politico attento solo a se stesso e ai suoi rapporti interni, che si è allontanato, marcando distanze abissali da  quelli che sono i bisogni popolari dei cittadini. Abbiamo cittadini, aziende persone vessate da tariffe che oggi apprendiamo fortemente sospette perché hanno utilizzato dati e informazioni che risultano, come scrivono gli inquirenti, non veritieri e che riflettono altre inosservanze contrattuali che si presume meglio emergeranno dal dibattimento, eppure non una delle forze politiche che ha ispirato, condiviso e sottoscritto il contratto con Acea ha mostrato il minimo segno di autocritica.  Le indagini partono dal 2014, per il fatto che quanto è accaduto prima è prescritto, ma il problema nasce nel 2003 con un sistema di intermediazione tra azienda e comuni che non ha funzionato, basta pensare a una conferenza dei sindaci spesso ridotta a una pura funzione ratificatrice, o alla STO che avrebbe dovuto controllare e non lo ha fatto, affidandosi solo alle informazioni, la cui veridicità è ora contestata dai magistrati,  fornite dall’Azienda. La risposta giusta, adeguata sarebbe stata quella di rimettere in discussione l’assetto dell’ATO 5 ma finora non si è registrato nessun fatto nuovo.  C’è silenzio della politica, ma all’interno dell’ampio fronte anti – ACEA, dove pure si discute seriamente di riforma del sistema di controlli e della possibilità della revoca all’ACEA della gestione del sistema idrico integrato sembra si stia scatenando la gara di chi l’ha detto prima. Sarebbe utile, invece, un incontro per coordinarsi perché i cittadini per difendersi possono contare solo su chi fa parte di questo fronte».

L’altra grande inchiesta è quella che coivolge la SAF.

«Stesso discorso di inadeguatezza dei partiti e del sistema di controlli sulla questione rifiuti, e anche qui c’è da prendere atto che la magistratura sta facendo qualcosa che avrebbero dovuto fare i rappresentanti dei comuni presenti nell’assemblea della SAF. E anche in questo settore parliamo di tariffe più alte del dovuto, frutto di scelte sbagliate e inadempienze. Spesso, in Consiglio comunale, ho insistito sui metodi di assunzione adottati nella SAF o anche all’ASI e sulla necessità che il nostro comune ne verificasse la legittimità. Mi si è replicato che non ne avevamo il potere perché si tratta di società di diritto privato, ma proprio qualche giorno fa, invece, la Cassazione ha sentenziato che tutte le società partecipate da enti pubblici sono tenute a seguire le regole pubbliche. Questa sentenza apre un problema enorme sull’operato di queste società, sulle assunzioni finora effettuate, ma anche sul comportamento di tutti gli amministratori e i rappresentanti dei comuni che hanno omesso di far valere quanto il semplice buon senso suggeriva. In questo caso “l’azzardo morale” è stato condannato dal massimo livello della magistratura giudicante.

Il 13 giugno “Alatri in comune”,  “Noi per Alatri”, “Patto per Alatri”, “Prospettiva Futura”, “Uniti per Cambiare”, presentano Enrico Pavia: liste civiche.

«La candidatura di Enrico Pavia, che io e il movimento Alatri In Comune appoggiamo è una candidatura civica. Pavia rispetto a cinque anni fa ha compiuto una scelta di distanza dai partiti a cui faceva riferimento tanto è vero che una parte consistente della coalizione che lo aveva sostenuto nel 2016 ha dirottato le sue preferenze alla coalizione di centro-destra che si è costituita al gran completo, almeno ufficialmente. Nei cinque anni della consiliatura che si sta chiudendo io e Pavia abbiamo lavorato spesso insieme e grazie a questo confronto costante abbiamo capito che era possibile incontrarci a condizione di costruire un’alleanza all’interno del perimetro civico. Alcuni dicono che la scelta civica escluderebbe una nostra eventuale amministrazione dai vantaggi delle “filiere” politiche che portano finanziamenti e favori. L’unica filiera che conta, in realtà, è quella delle istituzioni e all’interno di questa virtuosa filiera i cittadini di Alatri sanno già che sapremo farci valere.

Un’altra ragione che ci ha portato al polo civico nasce dalla nostra convinzione che  questa è la strada per poter unire tutte le energie cittadine, tutte le forze che possono spendersi senza pregiudizi di sorta per la nostra città. C’è un elettorato vasto, distribuito su tutto il territorio comunale, che è disposto a raccogliersi intorno a un unico progetto che abbia cuore e testa ad Alatri e non debba patteggiare con i potentati provinciali e regionali. Io sono stato sempre considerato come incapace di mediazioni, che invece è la sostanza della politica. Non rifuggo dalle mediazioni, ho imparato che dal confronto tra punti di vista diversi nasce una visione nuova e che la classe dirigente di cui Alatri ha bisogno deve nascere necessariamente non dal compromesso ma dalla mescolanza. Pavia ha detto più volte che la sua scelta civica è motivata anche dalla convinzione che su questa strada si incontra una vera classe dirigente, lungimirante, coraggiosa. Lo credo anche io. Questo ragionamento sulla necessità di una classe dirigente qualitativamente diversa in me ha una precisa data di inizio, nei giorni più tragici della città, quelli dell’assassinio di Emanuele Morganti. In quel drammatico frangente ho colto tutta la inadeguatezza degli amministratori attuali, la loro incapacità di capire la lezione duratura che quell’episodio proponeva a tutti, e così ho cominciato a guardare alle soluzioni possibili. Ma il punto di rottura vero e proprio è avvenuto su un episodio apparentemente secondario, sulla decisione della Giunta di togliere, dopo che tutti noi avevamo invocato un incremento del numero dei vigili urbani per controllare di più la “notte” della città, un agente dall’organico della polizia municipale per trasferirlo ad altra funzione, a causa di quello che apparve a tutti un pedaggio politico da corrispondere al piccolo prepotente di turno. Questo fatto suscitò una forte reazione, riuscimmo far votare la revoca della delibera, che però poi non venne revocata.  Questo ha dato la misura della pochezza e delle miserie di fronte al dramma che stavamo vivendo e che avrebbe preteso ben altri comportamenti.

Alatri, il centrosinistra c’è ma è disunito. Perché?

«In parte credo di aver già risposto, ma se poi lei si riferisce alle cronache più recenti credo che la situazione ci riserverà ancora qualche sorpresa. Noi confidavamo nella presenza di programma Alatri nel Polo Civico, ma non è andata in  questo modo. Ma ad Alatri non c’è un centrosinistra unito perché non c’è un partito capace di aggregarlo con la sua autorevolezza e capacità di guida.  Il PD in questi cinque anni semplicemente non è esistito, si è appiattito totalmente sulle scelte, tutte anche quelle più discutibili, dell’amministrazione. Adesso cerca di rimettere a posto i cocci ma è tardi. Quando qualcuno mi dice che io dovrei stare nel centrosinistra cittadino, io rispondo che piuttosto ci si dovrebbe chiedere perché non ci sto, perché una persona con la mia formazione politica e culturale se ne tiene a distanza. Io rivendico di essere centrosinistra ma ho fatto da tempo una scelta civica nella quale porto come dote questa mia ispirazione politica. E ciò mi è sufficiente ed è quanto offro per garanzia a chi ha la mia stessa ispirazione.

Unindustria ha lanciato il progetto di un grande capoluogo, una sorta di area sovracomuale che, oltre a Frosinone, comprende alcuni comuni vicini, tra cui Alatri, per condividere servizi e funzioni. Lei che ne pensa?

«Credo che l’idea lanciata da Unindustria, quella del grande capoluogo, sia un’intuizione giusta. L’ho detto subito dopo aver preso visione del progetto, ma ho anche detto che esso non si sarebbe realizzato “senza popolo”, senza cioè una discussione che coinvolgesse tutti i cittadini dei centri interessati.  Lasciarla in mano ai sindaci, i quali poi si sono ben guardati dall’informare i consigli comunali, è stato un limite forte della proposta. Siamo, però, alle porte di un ciclo elettorale che coinvolgerà diversi comuni chiamati a entrare nel progetto, come Alatri e Frosinone per citare i maggiori. Si presenta dunque l’occasione irripetibile di parlarne con i cittadini, di farne l’oggetto della deliberazione popolare. Se si discuterà e ci sarà il consenso necessario la prospettiva della nuova aggregazione intercomunale potrà ripartire con la legittimazione dei cittadini e perciò poggerà su basi solide, creando opportunità di investimento, di riorganizzazione e miglioramento delle funzioni. In caso contrario il grande capoluogo resterà solo un tema da convegno, quando ci macereremo sull’occasione perduta.

Quale il ruolo di Alatri in questo disegno del “grande capoluogo”?

Quello di città degli studi e della cultura, che sono il segno più forte della sua identità e possono essere il suo futuro. Si sbaglia a pensare che questa sia una visione parziale, che coglie solo un tratto del centro storico e non dell’intero territorio. Non è così, basti pensare al progetto che è vecchio di un secolo di una università di agraria da istituire nel Castello di Tecchiena e anche al giovamento complessivo che ne deriverebbe per la città, le sue attività economiche e produttive, nella sua interezza. Nel progetto di grande capoluogo che abbiamo esaminato non ci veniva assegnata questa funzione. Forse perché nessuno aveva pensato di proporla con le giuste argomentazioni».

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