Rapporto sulla sanità provinciale. L’illuministica ingenuità del “civil servant” Franco Brugnola

L’esame, documentato, impietoso, partecipe della sanità della provincia di Frosinone, condotto con l’occhio su cosa sta scritto sulle carte (e nei proclami) e quello che succede nella vita dei cittadini, tutti i santi giorni. Un’analisi ricca di dati, tabelle, informazioni, con la volontà di dimostrare, esempi alla mano, che migliorare e garantire il diritto alla salute è possibile. E comunque è un dovere. Franco, mio amico da oltre trenta anni, mi ha chiesto di scrivere la introduzione del volume. Eccola, ma il libro deve essere letto per intero. Lo si può acquistare richiedendolo all’Autore o a questo indirizzo https://ilmiolibro.kataweb.it/libro/saggistica/625960/libro-bianco-sulla-sanita-in-provincia-di-frosinone/.

Tarcisio Tarquini

C’è un modo rapido di leggere, per capirne subito il senso, l’ampio e dettagliato “rapporto sulla sanità nella provincia di Frosinone” che Franco Brugnola ha scritto condensando in circa 200 pagine una ricerca che conferma tutte le qualità di chiarezza e competenza “investigativa” (sapere cosa cercare e come e dove) riscontrabili nei suoi numerosi saggi precedenti, dedicati alla sanità pubblica e, più in generale, alla pubblica amministrazione. Il modo è quello di iniziare la lettura, utilizzandolo per guida, dall’elenco degli acronimi nei quali troviamo sintetizzato il fin troppo variegato lessico che la fantasia dei nostri amministratori regionali e nazionali – o dei tecnici che li hanno suggeriti, magari traendoli dai repertori dei più avanzati paesi stranieri – ha coniato per accompagnare, quasi con la sola forza di un’evocazione magica, il cambiamento del nostro sistema sanitario, a partire dal decreto legislativo del 1992, emanato dal primo governo Amato, che segnò, sotto l’incombere del possibile default dei conti dello Stato e della sconfessione della sua intera classe dirigente, un punto di svolta di cui ancora oggi continuiamo a registrare tracce profonde e ferite.

In questo lungo elenco di acronimi possiamo (o vorremmo) leggere la mappa di una sanità moderna, organizzata secondo modelli manageriali e indirizzi attenti alla salute dei cittadini all’interno di un’ottica sempre più personalizzata, che tuttavia – lo capiremo alla fine del libro – esiste ancora quasi tutta sulla carta, ripetutamente smentita dalla realtà effettuale che suona quasi come uno sberleffo di tanta immaginifica attività definitoria. Gli acronimi riferiscono di territorialità, di case della salute per le comunità più piccole nel nome della vicinanza al bisogno e della sussidiarietà, di atti aziendali temperati dal controllo e dalla partecipazione dei cittadini, di piani di azione locale: una ridda nomenclatoria che dovrebbe essere il segno di un’offerta sanitaria e di servizi rapida e sempre più articolata che, però, come dimostra la storia drammatica dei nostri anni, rischia di assomigliare a un elaborato esorcismo formulato per placare il generalizzato senso di colpa istituzionale indotto dal sospetto di aver ceduto sui caposaldi, sulle cose fondamentali, su quella cura e assistenza che il vecchio stato sociale si era industriato di garantire a tutti, a cominciare da una rete ospedaliera che cercava di non escludere nessuna porzione, anche le più disagiate, dei nostri territori.

Il “rapporto” di Franco Brugnola è, perciò, una sorta di grande prova della realtà, un’indagine per scoprire se sotto le formule nuove si nascondano il nulla o identità vecchie, se il grande cambiamento rappresentato e fissato nelle parole sia un modo per camuffare gli errori che il tempo delle riforme senza riforme ha prodotto devastando ciò che andava sicuramente rimesso a nuovo, migliorato, reso più efficiente ma non certo revocato.

Detto così e solo così, però, non renderemmo giustizia all’importanza di questo libro, che non è semplicemente un atto di denuncia e di demistificazione, né alla sua ispirazione – essa sì, riformista – che è la stessa di tutti gli altri saggi pubblicati da Brugnola in questi suoi anni di operoso pensionamento, nei quali ha saputo spendere le energie e le competenze che una intensa attività di “civil servant” (termine spesso abusato, ma in questo caso ben speso) ha contribuito a esercitare e sedimentare. Brugnola, infatti, è un “ingenuo” illuminista, legge norme, atti amministrativi, circolari, come tutti dovrebbero fare, cioè prendendoli sul serio e andando a verificare se quanto prescrivono è stato attuato, con la finalità di stigmatizzare lo scostamento tra il “dire” e il “fare” che l’esercizio spesso rivela, ma anche con la volontà di dimostrare – con tanto di segnalazione di “buone pratiche” esistenti e operanti – che la distanza può essere colmata e che il compito di chi amministra e gestisce la sanità pubblica è precisamente quello di adoperarsi caparbiamente perché alle parole corrispondano i fatti, e che le parole, una volta pronunciate o scritte, siano avvertite irreversibili e pesanti come macigni.

Lo studio elegge a suo oggetto, come sappiamo, la provincia di Frosinone e la sua Azienda USL (due anni fa, Brugnola ha dedicato un analogo “reportage” alla ASL di Latina)  e perciò il suo esperimento di realtà trova lo specifico terreno di coltura all’interno di questa dimensione amministrativa e territoriale, né peggiore né migliore di tante altre dello stesso tipo, all’interno di una regione che solo da poco – e, per recentissimi rilievi della Corte dei Conti, nemmeno tanto limpidamente – è uscita fuori dalla fase di commissariamento provocata da una gestione dei primi anni del secondo decennio del duemila che forse è eufemistico definire dissennata, ammesso che non si intenda ritenerla esplicitamente complice di un disegno di privatizzazione della sanità pubblica che è costato lacrime e sangue a tutti i cittadini laziali.

I dati contenuti nelle numerose tabelle che accompagnano i singoli capitoli del libro, messi a confronto con gli obiettivi assegnati al direttore generale, sono eloquenti ed evidenziano, come nel caso delle “liste di attesa” (problema nodale per valutare il livello della qualità dell’offerta sanitaria e della risposta al bisogno dei cittadini), una negatività che nemmeno le somme aggiuntive riconosciute in bilancio per colmarne il ritardo riescono a sanare. Ma c’è un aspetto che Brugnola ritiene ancora più urgente da attuare, quello dell’informazione e della partecipazione, principi rigorosamente dettati dalle norme e che non trovano riflesso nemmeno per sbaglio nell’operare concreto. Quanti di noi sanno, per esempio, che la legge prevede che nell’Atto aziendale – il documento annuale di programmazione delle aziende sanitarie – sia prevista l’istituzione, non formale, di organismi di partecipazione dei cittadini? E quanti ricordano che il loro ruolo non debba essere limitato a esprimere dissenso o consenso, magari delegando l’una o l’altra espressione alle organizzazioni cosiddette di interesse? E quanti sono consapevoli che il senso vero della prescrizione normativa risiede in una diffusione “comunitaria” delle prerogative decisionali perché se da una parte la USL è un’azienda, dall’altra essa è un’azienda particolare, che produce o dovrebbe produrre non pareggi di bilancio ma sanità e benessere di cui i destinatari siano inequivocabilmente ritenuti partecipi e protagonisti? La partecipazione è un po’ il chiodo fisso su cui un “tecnico” che non si è sentito mai solamente questo, come Franco Brugnola, batte da sempre. Al pari dell’altro chiodo fisso della omogeneità dei “livelli di assistenza”, tradotti oggi – nello spettro delle differenze tra regione e regione – in unità minime alle quali ciascuno poi aggiunga secondo la ricchezza del suo territorio, e che invece dovrebbero essere la soglia elevata da assicurare a tutti in modo uniforme perché la salute è un diritto che non può essere garantito a pezzi, in una parte più e meno altrove (parafrasando la dantesca “gloria di colui che tutto move”).

Un’ultima riflessione voglio dedicarla non al libro ma a Franco Brugnola. Lo conosco da trenta anni, da quando io vice sindaco di Alatri lo incontrai dopo che venne nominato amministratore straordinario dell’allora USL, non ancora azienda ma semplicemente unità sanitaria locale, che aveva il suo centro territoriale nella mia città. Ad Alatri è rimasto poco, ha avuto altri incarichi e sempre più importanti, in aziende e istituti sanitari ma anche in amministrazioni locali della nostra regione. In quel limitato, e ormai lontano, frangente di tempo ho apprezzato il profilo rigoroso del suo senso del dovere, della sua devozione alla sanità e amministrazione pubblica. L’ho seguito poi da lontano, avendo di tanto in tanto notizie sulla sua attività, sulle avventure, e talvolta disavventure, a cui i suoi comportamenti esemplari lo hanno portato. Si dice che spesso le persone che da giovani vogliono cambiare il mondo da anziani scoprono che è stato il mondo a cambiare loro. Non saprei dire quanta parte del mondo Franco sia riuscito a cambiare, ma mi pare assolutamente certo che contro di lui il mondo non ce l’ha fatta, non è riuscito a cambiarlo.

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