L’inesistente “programmazione” di una maggioranza senza idee e volontà

Il Consiglio comunale del 12 dicembre ha approvato “gli equilibri di bilancio” e, insieme, un documento che dovrebbe “verificare” i risultati raggiunti nell’attività del quinquennio amministrativo che sta per concludersi. Tante affermazioni generiche e nessuna riflessione seria sui problemi della nostra città, che si sono aggravati per l’assenza di visione politica, strategia, capacità operativa. Di seguito, l’intervento del consigliere Tarcisio Tarquini di Alatri In Comune. “Un no convinto ma inutile, perchè dato contro il nulla”.

@TarcisioTarquini

Il DUP è un documento decisivo dell’attività amministrativa, un asse strategico che permette di programmare e valutare l’attuazione e gli effetti dell’attività svolta. È perciò il principale strumento  di programmazione e rendicontazione dell’attività amministrativa. Perché indica le strategie, da una parte, e le azioni operative che si attuano per dare corpo e concretezza alle scelte compiute, dall’altra.

Questo l’ho ripetuto tutte le volte, o quasi, che ho preso la parola su questo argomento. E ancora una volta sono costretto a ripetermi. Anche questo documento che viene presentato oggi come verifica dello stato di attuazione del programma amministrativo non verifica proprio nulla, non spiega, non fornisce elementi per ragionare su ciò che è stato fatto, su ciò che non lo è stato e perché. E soprattutto, poiché non illustra seriamente l’operato dell’ente, non svolge neppure la funzione per la quale esso è stato concepito nell’ordinamento locale, come strumento per migliorare l’efficacia dell’amministrazione e per dare conto di quanto e come si opera, in maniera puntuale e trasparente,  ai cittadini, che del DUP sono i veri, primi, essenziali destinatari.

Questa relazione di verifica è, del resto, figlia del documento originario che essa intende verificare e questo è, a sua volta, frutto delle linee del programma di mandato approvate in Consiglio nel settembre del 2016, un insieme di genericità dalle quali non si può trarre un’idea, una visione, il profilo dell’identità della città che si intende affermare e valorizzare, un piano concreto e un’indicazione puntuale degli strumenti, non solo finanziari, da utilizzare per raggiungere gli obiettivi.

Mi chiedo se la genericità e l’approssimazione di questo documento di verifica non siano meritevoli  di un giudizio da parte del Nucleo di valutazione per le conseguenze negative, una sorta di veleno conoscitivo, che iniettano nel procedimento amministrativo rendendo di fatto assolutamente arbitraria la valutazione delle performance e del sistema premiale con la conseguente distribuzione ai dirigenti dei vari settori di una quota delle risorse del nostro bilancio regolata, nella distribuzione dei premi di risultato, più da criteri di autoreferenzialità che da un meccanismo oggettivo, tracciabile, chiaro di incentivazione e riconoscimento del merito.

Qualche tempo fa ho chiesto che mi venissero inviati i verbali del Nucleo di Valutazione, ho potuto così prendere visione dei prospetti delle gratifiche economiche riconosciute ai dirigenti e responsabili di settore, senza però trovare quello che cercavo e cioè una descrizione e una motivazione delle decisioni assunte. E del resto se il documento principe che dovrebbe governare tutto il sistema è inficiato fin dall’inizio da genericità e pressapochismo diventa poi difficile dare senso e coerenza a tutti i passaggi successivi.

Invito il segretario, in qualità di presidente del Nucleo di valutazione, a sottoporre ai suoi colleghi il DUP e la relazione di verifica, oggi portata alla conoscenza del Consiglio comunale, per chiedere che gli esperti dell’Organo si esprimano sul contenuto della mia denuncia. Non mi interessa che vi sia una censura, ma è indispensabile che venga autorevolmente dichiarato quali siano le regole da rispettare nell’elaborazione di un documento da cui dipende in misura notevole la corretta amministrazione e per questa finalità è richiesto dalla legge degli enti locali.

Sono in grado, naturalmente, di dimostrare quello che affermo. E insisto – questa volta con particolare polemica – perché riscontro dalla lettura delle quindici pagine del testo che nemmeno le incongruenze più ovvie da me segnalate negli interventi nei precedenti consigli comunali – e qualcuna di queste tanto comica da farmi chiedere se sia involontaria o frutto di una cospirazione dei redattori del documento – sono state cancellate, modificate, corrette.

Per esempio, quella clamorosa – nel capitolo ambiente – dove, lamentando che la nostra città è la terza della provincia in quanto inquinamento da PM 10, si assegna la colpa alla “disamministrazione di questi anni”, come se ci si dovesse riferire ad altre giunte, ad altre maggioranze e ad altre persone rispetto a quelle che dal 2011 a oggi – e cioè proprio “in questi anni” – hanno governato Alatri. Mi domando: ma qualche collega della maggioranza ha letto il Documento, e se lo ha letto si è preoccupato di interrogarsi sul suo operato, dato che il suo concorso alla disamministrazione, almeno nel settore ambiente, viene così clamorosamente decretato da un documento ufficiale, presentato all’approvazione del Consiglio Comunale?

C’è poi una formula che viene ripetuta al termine della trattazione di ogni area tematica come risultato sintetico della verifica: e la formula è “l’obiettivo è in corso di raggiungimento”, oppure “avviato” e espressioni similari. Sono espressioni che ai fini della rendicontazione non significano letteralmente nulla: non c’è una cifra, una percentuale che serva a definire con esattezza quale era l’obiettivo e a che punto del cammino si sia arrivati. Siamo nel campo della arbitrarietà assoluta, del rifiuto dell’esame serio dell’azione amministrativa: siamo nel campo della chiusura a ogni valutazione di quanto si è fatto per trarre da ciò nuovi obiettivi e azioni che ne migliorino l’efficacia.

La parte più articolata, dove è possibile seguire una traccia che assomiglia a una rendicontazione più puntuale, è quella relativa ai servizi sociali, là compaiono numeri, elencazione di azioni poste in atto, di politiche operate. Però anche in quella è del tutto assente una informazione che ci consenta di valutare i risultati ottenuti in termini di modifica della situazione di partenza e, perciò, in ultima analisi di elaborare una valutazione. Questo settore, invece, è proprio quello che maggiormente avrebbe bisogno di questo tipo di informazioni e rendicontazione, perché tocca aspetti vitali e potenzialmente disgregativi della nostra comunità. Ogni beneficio nel campo sociale deve essere proposto e motivato in modo che intorno ad esso non si alimenti alcun sospetto sulla discrezionalità che si è usata nella motivazione di quel beneficio, nella scelta di quel beneficiato. Nel settore sociale del comune, più che in altri, andrebbe pensato un bilancio sociale che chiarisca il senso, l’obiettivo, la ragioni del proprio operato, in modo da rappresentarlo all’interno della comunità nella ottica più giusta quella dell’attivazione di energie e risorse che siano utili ad attenuare, se non eliminare, le disuguaglianze e le ingiustizie, soprattutto quelle che colpiscono le fasce della cittadinanza che è più esposta a soffrirne il peso e le conseguenze. Questa mancanza di cultura della rendicontazione, del resto, si è manifestata con grande evidenza nel caso recente della minore separata da una parte della sua famiglia di cui si è trattato ampiamente sulla stampa, in qualche comizio, e  della quale oggi si sarebbe dovuto parlare in questa stessa aula con l’interrogazione del collega Addesse, che invece è stata rinviata. Un caso paradigmatico che ha suscitato polemiche e sospetti, di cui sa qualcosa lo stesso assessore Di Fabio e di cui sanno qualcosa le dipendenti del servizio. Anche in questa situazione, però, se si osserva quanto accaduto, depurandolo delle evidenti e grossolane strumentalizzazioni politiche cui si è assistito – e certo non in Consiglio – si può trovare una nuova conferma a quanto sostengo. Io ho chiesto la riunione della commissione servizi sociali per discutere del problema sollevato e, senza nemmeno chiedermi quale fosse l’oggetto della mia richiesta, anzi travisandolo dopo che lo avevo chiarito in una mia nota diffusa sui social e ripresa dalla stampa, si è deciso di appellarsi a un dovere di riservatezza e di segretezza che io non avevo certo chiesto che fosse violato. Avrei domandato, invece, le informazioni necessarie non a descrivere un caso, che mi auguro si risolva presto per tutti, ma a capire un metodo, un’impostazione di intervento, il perché di certe scelte nella speranza che servisse a fugare dubbi sulla discrezionalità dei comportamenti seguiti. Per esempio, quale criterio viene seguito per la scelta delle case protette, quali rette si paghino e se siano quelle scandalose denunciate in queste settimane, alle quali mi è francamente difficile credere ma che molti credono veritiere e perciò producono, non smentite, ulteriori diffidenze e sospetti. Non aver accettato la riunione della commissione è conseguenza di un atteggiamento di chiusura che non serve e non va bene per nessuno. L’ho voluto precisare in questo contesto, nella discussione, cioè, di un documento che, come ricordavo, è stato concepito sia per migliorare l’azione amministrativa sia per renderla comprensibile ai cittadini.

Se poi leggiamo il capitolo della urbanistica, quello su cui grava più pesantemente una volontà politica negativa dell’amministrazione che ostacola lo stesso impegno diligente del tecnico, scopriamo che anche qui “l’obiettivo è in corso di realizzazione”, e lo si dice parlando di piani di attuazione urbanistica rispetto ai quali non abbiamo notizia che vi siano iniziative politico – amministrative intese a realizzarli, e che lascino scorgere il condivisibile e irrinunciabile intento di ricondurre il territorio della nostra città all’interno di una logica di governo, senza la quale ogni arbitrio è possibile e senza la quale non si creano neppure le condizioni minime per restituire alle generazioni più giovani una città vivibile, ben strutturata nei suoi servizi, sana da un punto di vista ambientale, capace di assicurare sviluppo alle sue attività produttive. Non si fa menzione del tema della rigenerazione urbana, del regolamento che è stato approvato a forza in questo Consiglio e poi è stato bocciato dalla regione: è stato riscritto? Si ha intenzione di riproporlo? Che valutazione si dà di questo incidente di percorso e quali insegnamenti si traggono dalla vicenda? Il tema non meritava un paragrafo, una nota, un sospiro? Nulla viene detto del regolamento per le facciate, chiesto da un ordine del giorno del Consiglio comunale, elaborato puntualmente dal tecnico che ha dato notizia della sua ultimazione in una riunione della commissione, ma che evidentemente la maggioranza non ha intenzione di sostenere. E si è in grado di valutare gli effetti di questa omissione su cittadini e imprese?

C’è una parte del documento che elenca puntigliosamente gli interventi chiesti all’Acea per migliorare questo o quell’aspetto del servizio che l’azienda eroga alla nostra città. Dicevo un’analisi puntuale, ma quello che manca è il contesto politico, una riflessione che arrivi al cuore del rapporto della nostra città con la multinazionale “romana”. Ne abbiamo parlato in una seduta del Consiglio, per sollecitazione proveniente da una mia interrogazione, ma dopo settimane siamo restati a quel punto. Il sindaco formalmente ha apprezzato i nostri argomenti ma dopo non abbiamo saputo più nulla sugli incontri annunciati e forse avvenuti e sui risultati conseguiti. Ecco, il documento che stiamo discutendo per essere strumento di rendicontazione avrebbe dovuto ricordare, ammesso che alla Giunta sia chiaro, l’obiettivo politico del governo dell’acqua nel nostro territorio comunale che  non consiste, né si esaurisce, certo nel chiedere qualche “operetta” per tacitare le lamentele dei nostri concittadini, spesso solo per qualche giorno, ma imporrebbe di ristabilire le certezze contrattuali, di  smantellare un metodo che considera, ipocritamente, il cittadino cui Acea fornisce l’acqua – in che modo lo sappiamo – come business partner, cioè partner del suo business: come uno, insomma, che collabora affinché  l’azienda percepisca gli utili che essa poi non reinveste e che dunque da questa partnership non ricava alcuna utilità. Noi dobbiamo avere dall’ATO 5 quasi mezzo milione di euro per gli oneri concessori, non abbiamo avuto niente non perché il bilancio della provincia non sia stato approvato, come pure qualche esponente della maggioranza poco informato si è lasciato sfuggire ignorando che l’Ato5 ha un suo bilancio autonomo da quello dell’ente, ma perché sarebbe in atto un braccio di ferro tra Provincia e Acea su una sorta di transazione globale riguardante le pendenze aperte, una trattativa di cui abbiamo notizie vaghe e di cui non sappiamo quasi nulla. Nei giorni scorsi il quotidiano “l’Inchiesta” ha pubblicato un documento di compromesso raggiunto tra Provincia e Acea che mettendo una pietra sopra al contenzioso aperto (non so se è quello che impedisce il pagamento degli oneri concessori e non so se questi non siano resi effettivamente disponibili dall’azienda, in tal caso ci troveremmo di fronte a un fatto di gravità eccezionale) obbligava le parti a mantenere riservato, segreto, il contenuto dell’accordo, poi pubblicato sul  sito ufficiale, forse nell’illusione che nessuno andasse a leggerselo. È questa la cultura e la prassi della rendicontazione? E non dobbiamo essere noi, se gli altri sono reticenti, a svelare i segreti, i conciliaboli riservati su questioni che riguardano la collettività. Altrimenti che ci stiamo a fare qui? Per chi? In nome di cosa?

In un’altra parte del “documento di verifica” viene ricordato l’obiettivo di recuperare e valorizzare il patrimonio edilizio pubblico della nostra città, e io aggiungerei anche privato di interesse pubblico. Se elenchiamo a memoria gli immobili che dovrebbero essere l’oggetto di questo intervento, c’è da restare sbalorditi. Vediamolo: l’ex ospedale San Benedetto (e nel documento si dice una bugia, perché non c’è nessuna intesa con la ASL e quanto richiesto dalla commissione consiliare non ha avuto seguito), l’edificio dell’IPAB Rodilossi (rispetto a cinque anni fa la situazione è peggiorata. Oggi non viene nemmeno menzionato nel documento), il Convento delle Calvariane, finito all’asta, il Cinema Politeama, inaugurato e presentato dal vice sindaco Di Fabio come un dono del sindaco alla città, non ricordo se subito prima o subito dopo le elezioni, e aperto per un solo giorno e poi scomparso dall’orizzonte della vita cittadina; ma a questa lista, a questa black list, potrebbero aggiungersi altre proprietà private che hanno un alto significato comunitario: : una parte del palazzo Grappelli, la parte privata del Palazzo Gottifredo con il Salone ricostruito che è un gioiello della città, il Castello di Tecchiena, il campo di Fraschette.

Per ciascuno di questi immobili andrebbe fatto un ragionamento “pubblico”, ripeto anche per gli immobili privati che hanno un impatto notevole sulla configurazione urbanistica della città, sul suo disegno architettonico, sulla sua funzionalità. Andrebbe definita per ciascuno di essi una strategia di recupero e di riutilizzo, perché è compito dell’amministrazione pensare la città nel suo insieme, beni pubblici e beni privati. In questi anni non è stato fatto nulla e ci si trincera dietro scuse, alcune delle quali risibili. Io domando – e lo domando senza nutrire la minima simpatia politica per il sindaco di Frosinone Ottaviani, come è possibile che il comune capoluogo, in piano di riequilibrio come noi, anzi oggetto di una diffida da parte della Corte dei Conti per non aver proceduto al riequilibrio secondo quanto deliberato nel piano approvato nel 2013, come è possibile che questo comune abbia compiuto un’operazione di acquisizione del Palazzo della Banca d’Italia, con il beneplacito – pare – della Corte dei Conti, e noi non siamo riusciti e non riusciamo a recuperare nemmeno quello che appartiene già al pubblico e che è delittuosamente lasciato nell’abbandono?

La risposta, secondo me, è semplice: qui da noi nessuno ha compreso il valore strategico del recupero e del riuso di questi beni per il centro storico e per tutta la città. Nessuno, in seno all’amministrazione, ha pensato al “come” valorizzarli, mettendosi a cercare i modi – formali, amministrativi, economici per realizzare l’obiettivo.

Oggi ci sono strumenti per poterlo fare, fondi di diversa provenienza. C’è una funzione nuova che sta assumendo l’Agenzia per il Demanio in collaborazione con la Cassa depositi e prestiti; è uscita una legge rivolta alle Regioni per il recupero di loro beni, e non si capisce perché non si debba tentare di utilizzare quanto la legge stessa prevede per porre al centro il recupero del nostro’ex ospedale. C’è un’università che potrebbe trovare sede adeguata nel Castello di Tecchiena e vi assicuro che il progetto – di cui si cominciò a parlare cento anni fa – potrebbe essere fattibile se l’amministrazione prestasse la sua attività e ponesse la sua autorevolezza nella promozione del progetto e nella ricerca dei partner istituzionali.

Lo strumento cui potremmo mettere mano è una società ad hoc, con la partecipazione di privati, che su input strategico dell’amministrazione operi per progettare, reperire soldi, strumenti finanziari e giuridici per trovare il suo percorso a ciascuno dei beni oggi in disuso e, in alcuni casi, in degrado. È uno dei casi che la legge sugli enti locali ammette anche per i comuni impegnati nelle procedure di riequilibrio finanziario.

Qui ad Alatri non si fa, dunque, non perché non sia possibile, ma perché nessuno vuole impostare un lavoro così ambizioso e pieno di difficoltà e che implica tante responsabilità. Però, se non si parte, se non si assume un atteggiamento propositivo nemmeno si arriva alla mèta.

Mi fermo qui, e potrei parlare ancora per molto. Ho cercato di spiegare la ragione del perché ritengo che questa “ relazione di valutazione strategica” che sottoponete al nostro esame e alla nostra approvazione in realtà non valuti nulla, non aiuti a capire le criticità e le potenzialità, non aiuti a farci aprire gli occhi sugli errori compiuti indicandoci il modo di correggerli.

In conclusione,dovendo esprimere un voto, il mio è un No tanto convinto quanto inutile perché è un No dato al nulla.

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