Il terremoto che ha colpito il centro Italia, terre e persone a noi vicine appena qualche centinaio di chilometri, ci chiama alla mobilitazione e alla solidarietà. Domani sarà il tempo della ricostruzione che richiederà ancora il nostro impegno perché errori e misfatti del passato non si ripetano. Ma se vogliamo che questa nuova, “insensata”, disgrazia abbia un senso, dobbiamo mettere all’ordine del giorno, a partire da Alatri, il tema di una protezione civile che sia prevenzione permanente, attività non straordinaria ma quotidiana, alla quale ispirare i nostri atti e le nostre scelte. Il Piano di protezione civile della nostra città sarà efficace se si baserà sulla partecipazione di associazioni e cittadini.
Adesso è il tempo della solidarietà. Le immagini dei paesi distrutti a qualche centinaio di chilometri da noi, il racconto di chi vede la sua vita sconvolta dal terremoto, le voci di chi con generosità non ha perso un minuto per accorrere nelle zone colpite e si è messo a disposizione per salvare quanto è ancora possibile salvare e per prestare soccorso alle migliaia di persone sconvolte dal cataclisma ci danno la misura di quello che si deve fare subito, in queste ore, per portare il nostro contributo, nelle forme possibili e coordinandosi con chi istituzionalmente – enti, associazioni di protezione civile, Croce Rossa – sta organizzando, anche nella nostra città, le risposte all’emergenza.
Sappiamo, dai comunicati che si sono susseguiti nel corso dell’intera giornata, ciò di cui c’è bisogno: sangue nei centri di raccolta degli ospedali, generi di prima necessità non deperibili, coperte e vestiario per gli improvvisati bivacchi di queste prime notti passate nei centri di raccolta allestiti in tutta fretta.
È una lista di urgenze e una sequenza di azioni che abbiamo visto, purtroppo, molte altre volte e che chiama ciascuno di noi a farsi avanti, offrendo quello che può e sente il dovere di offrire. Il nostro Movimento civico, Alatri In Comune, ha già dichiarato che farà la propria parte: sono stati i nostri aderenti a chiederlo, a chiedere al Movimento di aggiungere le proprie iniziative a quelle messe in atto da tutti coloro che sono all’opera dalla notte scorsa e costituiscono l’asse portante della grande mobilitazione di cui siamo testimoni.
Dopo, verrà un’altra fase alla quale dovremo essere presenti con la stessa convinzione e partecipazione di oggi. Da una parte, dovremo dare continuità al nostro aiuto con altre iniziative, perché – come ci ammonisce la storia del nostro paese, mai smentita anche se ci auguriamo ogni volta, e oggi più che mai, che possa esserlo – la fase della ricostruzione è sempre la più difficile, quando le emozioni si spengono e ciò che è sembrato possibile alle buone intenzioni delle prime ore successive al disastro viene ricacciato nella morta gora dell’incomprensibile e insormontabile routine di sempre: l’Aquila solo adesso, dopo sette anni, sembra avere imboccato sul serio la via della rinascita, altre zone del paese, e da tempi più lunghi, sembrano esserne ancora lontani.
Dall’altra parte dovremo dimostrare tutti, finalmente, che la lezione l’abbiamo capita e che non c’è da perdere un minuto per avviare quell’opera oscura e continua di prevenzione che ci porti se non ad eliminare del tutto a creare almeno le condizioni perché terremoti e calamità naturali non lascino dietro di sé tanta distruzione e tante vittime.
Tutti abbiamo qualcosa da fare, tutti abbiamo il dovere di essere esigenti e pretendere dalle autorità pubbliche che ciò che non è stato fatto finora lo sia nel futuro.
Anche ad Alatri abbiamo da fare, anche il nostro territorio ha bisogno di un’attenzione particolare. Non abbiamo, tanto per dirne una, un piano aggiornato di protezione civile; sappiamo solo che nei mesi passati il comando della Polizia Municipale ha intrapreso una sorta di sondaggio con le associazioni della protezione civile per averne pareri, informazioni, suggerimenti in vista della redazione di un nuovo documento della sicurezza cittadina. Non sappiamo, però, a che punto siamo arrivati e se sia davvero chiaro che questo lavoro non è da intendersi come un puro e semplice espletamento di un obbligo normativo, quello che ne prevede la revisione entro il prossimo mese di ottobre. Ma che, invece, per poter avere una reale efficacia abbisogna del coinvolgimento di tutti i cittadini, singoli e associati, perché ognuno di noi conosca gli obiettivi del Piano, sappia come comportarsi in caso di necessità, chi chiamare e dove recarsi nei momenti concitati del pericolo.
Non ci si è mai proposti, nelle innumerevoli occasioni in cui si sono pronunciati e ascoltati discorsi sull’organizzazione e il funzionamento della macchina comunale, di individuare una professionalità (anche esterna e anche da acquisire, magari in concorso con gli altri comuni del nostro comprensorio, con contratto specifico di collaborazione, se non se ne trova una adatta all’interno) cui affidare esclusivamente il compito di coordinare la politica della protezione civile della città ed eventualmente dell’ambito territoriale ad essa più vicino, un tecnico che ogni giorno e ogni ora della giornata, con strumenti adeguati, sia preposto a un ruolo di “diagnosi e cura” per sottrarre alla responsabilità (e all’alibi) della fatalità quanto, invece, è più spesso colpa e demerito nostro.
È mancata, finora, un’azione sistematica di ricognizione delle criticità presenti nella nostra città: c’è da pochi mesi l’importante aggiornamento dello studio della microzonazione sismica, ma non abbiamo una mappa puntuale delle abitazioni più a rischio, e soprattutto un programma, necessariamente di lungo tempo e consistenti investimenti, per rimuovere i pericoli là dove sono più elevati. Succede, quando l’unica politica edilizia portata avanti è quella dei condoni, come accade da decenni e come non sarebbe accaduto nemmeno per un momento se pianificazione urbanistica e controlli preventivi ci fossero stati, evitandone l’esplodere (dati comunicati dagli uffici comunali certificano giacenti circa 7.000 pratiche di condono).
C’è bisogno di una protezione civile che sia prevenzione e che, perciò, si eserciti più nella ordinarietà quotidiana che nell’emergenza.
È così che potremo dare un senso a questa nuova “insensata” disgrazia che si è abbattuta sul nostro paese, tra persone e in terre a noi tanto vicine e conosciute da farcele avvertire parte intima di un destino cui non siamo, e non possiamo essere in alcun modo, estranei.
(La foto in evidenza nel titolo è del post.it, la foto storica nel testo è tratta da www. terremarsicane.it).