Una polemica prevedibile sui profughi nella nostra città, dopo il “caso” Monte San Marino. C’è un modo per evitarla, affrontare di petto i problemi e programmare una politica dell’accoglienza che orienti le scelte evitando i “traumi sociali” da molti denunciati, non sempre in buona fede. Una dichiarazione del sindaco che condivido a metà e che, per la metà che non condivido, rivela la solita rinuncia al governo dei fenomeni.
Si è accesa in questi giorni una prevedibile polemica sull’arrivo di un certo numero di profughi nella nostra città, soprattutto dopo che quindici di essi hanno trovato ospitalità a Monte San Marino in una struttura residenziale gestita dalla cooperativa Integra Onlus. Non è l’unica cooperativa operante nel nostro territorio che abbia appartamenti o villette destinate a questo scopo: c’è la Xenia sulla statale 155, la Antea a Colle Cuttrino, la Diaconia a via Sora, nel cuore del nostro centro storico: tutte insieme ospitano oggi 87 “migranti” (questa la definizione adottata, in tutta la provincia sono 1.486), sulla base di convenzioni sottoscritte con la prefettura che prevedono, insieme con l’ospitalità, l’erogazione di una serie di servizi per garantire non solo la loro migliore permanenza ma anche l’avvio di un sicuro processo di integrazione. Per questa attività le cooperative ricevono 30 euro al giorno per ospite e ciascuno di essi, a sua volta, riscuote un pocket money di 2.5 euro al giorno (al massimo 7.5 per nucleo familiare) più una ricarica telefonica iniziale di 15 euro.
Il dibattito cittadino, dentro cui si sono infilate le solite, inaccettabili e insopportabili provocazioni degli alfieri della politica dei “muri”, ha coinvolto nelle sue asprezze anche alcuni gruppi consiliari alle cui argomentazioni critiche (contenute in un’interrogazioni di Enrico Pavia) ha replicato il sindaco con un intervento di cui condivido solo la premessa che certifica la “tradizionale” accoglienza della nostra città. Non condivido il resto della dichiarazione, anzi considero reticenti le informazioni fornite da Giuseppe Morini (tramite Ciociaria Oggi), un po’ con l’intento di tranquillizzare la popolazione e un po’ per tirare fuori l’amministrazione da una vicenda che, invece, la riguarda direttamente. E che, dunque, deve essere affrontata e governata – se si vogliono evitare traumi sociali – senza ribaltare su altri la responsabilità delle scelte compiute e da compiersi.
È vero che il processo di distribuzione dei profughi nei vari centri della nostra provincia è disposto direttamente dalla prefettura, non è vero che questo avvenga con accordi privati, visto che l’accoglienza è affidata a società cooperative che dispongono di strutture o quando non ne dispongono direttamente le affittano e, perciò, sottoscrivono atti che certamente sono portati alla conoscenza degli uffici comunali e che, per la rilevanza che hanno, dovrebbero arrivare anche all’attenzione del sindaco.
Proprio in questi giorni, l’ANCI (l’associazione dei comuni italiani) sta discutendo con il governo un piano che modifichi questo approccio e faccia in modo che la presenza dei migranti sull’intero territorio nazionale sia distribuita in misura equilibrata, coinvolgendo tutte le nostre città, e le loro amministrazioni, in maniera tale che l’impatto sia più tenue e l’integrazione più facile. Ad Alatri, in questo senso, c’è un precedente positivo di venticinque anni fa, quando in città giunsero, sulla base di un piano gestito direttamente da prefetture e ministero degli interni, una ventina di cittadini albanesi che trovarono lavoro nelle nostre aziende edilizie (allora fiorenti) e, almeno in parte, sono poi rimasti qui, perfettamente integrati e accettati dalla comunità cittadina.
Questo per dire che la politica migliore non è quella di sottrarsi alle proprie responsabilità ma prenderle di petto per governare i fenomeni in modo razionale.
È vero che in questo campo è la prefettura a dettare le regole. È altrettanto vero che sarebbe prudente che ciò avvenisse con il “consenso informato” dei comuni interessati. Ma non è assolutamente vero che i comuni, anche nella situazione attuale, non abbiano un ruolo da giocare, cominciando dall’elaborazione di un piano comunale dell’accoglienza che individui gli alloggi disponibili e le zone del territorio maggiormente adatte, in modo da orientare la scelta delle cooperative verso le soluzioni residenziali più opportune (e non magari solo verso quelle più a basso prezzo). Se l’obiettivo, infatti, è quello di offrire un’accoglienza adeguata e una integrazione più facile, non tutte le soluzioni si equivalgono. Il compito dell’amministrazione, che nessuno può contestarle, consiste perciò nel determinare un “ambiente” che faccia dell’accoglienza una pratica accettata, condivisa, sicura, trasparente (per i notevoli interessi economici che muove): non un evento eccezionale ma un atto normale nella quotidianità della nostra epoca di grandi migrazioni. E un’opportunità per arricchire la qualità delle relazioni comunitarie della nostra società cittadina, aprendo una finestra sul mondo dalla quale i nostri giovani, che già si sentono e sono cittadini del mondo, possano affacciarsi.
Alatri ha vissuto nell’ultimo decennio l’arrivo e poi la partenza di alcune migliaia di emigrati romeni. Abbiamo fatto poco per imparare da loro tutto quello che avrebbero potuto insegnarci. E così loro hanno appreso da noi solo una piccola parte di quello che avremmo potuto insegnare. Non ripetiamo l’errore, cerchiamo di conoscere chi sono gli uomini e le donne provenienti da paesi lontani che, per un tempo breve, vivranno accanto a noi. Facciamo la nostra parte, alla fine tutti i conti torneranno.
(le foto sono di Ciociaria oggi)