Acqua, conto alla rovescia o beffa per i cittadini?

Il conto alla rovescia è ormai arrivato al suo ultimo giro d’orologio. Oggi, 18 luglio mancano giusto trenta giorni alla scadenza dei sei mesi che l’assemblea dei sindaci si è concessa, lo scorso 18 febbraio, per dichiarare risolta la convenzione che dal 2004 ha affidato all’Acea la gestione del servizio idrico di pressoché tutti i comuni della provincia di Frosinone. Non di tutti, perché il comune di Cassino, come è noto, ha mantenuto a sé, e vuole continuare a farlo nonostante le sentenze della giustizia amministrativa e le diffide del prefetto,  la gestione della parte urbana del suo acquedotto, sulla base di argomentazioni che a me (e soprattutto agli amministratori di quel comune) non sembrano campate in aria.

Il 18 agosto, dunque, o nei giorni immediatamente successivi il presidente della provincia dovrà convocare una nuova assemblea dei sindaci dell’Ato e in quella sede dichiarare concluso l’ampio periodo della messa in mora dell’azienda romana, chiamando tutti a decidere sul futuro della gestione del nostro servizio idrico integrato. Il poco (almeno in superficie) che è successo in questi mesi porta a prevedere che dal cilindro del presidente Pompeo, supportato da sindaci come quello di Alatri che malvolentieri e solo all’ultimo secondo si sono aggiunti all’ultimatum rivolto al gestore, verrà fuori qualche marchingegno giuridico-amministrativo per mantenere le cose come stanno: e cioè tenersi l’Acea che, nel frattempo, avrà documentato – c’è da scommetterci, non le mancano certo i mezzi né la faccia tosta – la linearità ineccepibile del suo comportamento contrattuale. Compresa l’applicazione di quella tariffa (che si vuol far passare per un “evento naturale” e non una scelta) che fa pagare l’acqua alle nostre famiglie dieci volte di più di quanto la paghino le famiglie di Roma (e, più o meno, anche quelle di Cassino). Tanto rumore per nulla, allora? È assai probabile che vada a finire così. Non si tratta di una congettura maliziosa e nemmeno di una previsione resa facile dalle motivazioni dei ricorsi che l’azienda ha già inoltrato per le vie dei tribunali amministrativi; è semmai la conseguenza logica del fatto che in questi mesi non si è nemmeno tentato di disegnare uno scenario diverso, ipotizzando soluzioni alternative e verificandone la fattibilità.

Più volte abbiamo richiamato l’attenzione sull’inerzia delle autorità locali; abbiamo detto e scritto che ci saremmo aspettati, già all’indomani della messa in mora, l’elaborazione di un progetto sui modi per riportare l’acqua sotto il controllo pubblico, se non altro per dimostrare ai cittadini e all’Acea che si stava facendo sul serio e che la delibera di avvio della risoluzione contrattuale non era una tigre di carta che si sarebbe afflosciata al primo soffio di vento. E, d’altro canto, i capi di accusa scritti nel documento della STO (segreteria Tecnico organizzativa di consulenza dell’Autorità d’ambito) che è servito da motivazione della delibera di risoluzione, approvata da tutti i sindaci e perciò anche dal nostro, sono tali da escludere che il rapporto con il gestore si possa risanare con una lavata di capo, alla quale, peraltro, l’azienda sembra tutt’altro che disposta a sottoporsi. Cosa succederà, dunque? Cosa intendono fare i sindaci, arrivati al giorno dell’appello? Cosa ha fatto e cosa farà il presidente della provincia Pompeo che ha avviato un suo patteggiamento con l’azienda con l’evidente scopo di trovare un accordo che chiuda la appena accennata vertenza, evitandosi così ogni altro grattacapo? E cosa intende fare la Regione che non ha ancora trovato il tempo di approvare i regolamenti attuativi della legge cosiddetta di “ripubblicizzazione” dell’acqua, approvata dal Consiglio nell’estate del 2014, tenendone così bloccata l’operatività?

Ciò che mi pare certo è che stiamo arrivando all’appuntamento nel peggior modo possibile, con argomenti spuntati, idee confuse (o troppo chiare, in alcuni), senza soluzioni di riserva. Gli interessi dell’Acea si possono favorire in tanti modi, questo è uno. È necessario, perciò, che i sindaci e il presidente della provincia siano chiamati a dare informazioni e spiegazioni sui loro propositi, per evitare che i cittadini, dopo aver già pagato i danni di scelte sbagliate o addirittura conniventi, subiscano adesso anche la beffa.

 

 

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