L’Europa in cui dobbiamo rientrare

Perché non basta un referendum per farci uscire dall’Europa, ma bisogna capire di quale Europa parliamo. Lo scrive Francesco Boezi, intervenendo nella discussione aperta dal post di Eugenia Salvadori. Invitiamo altri giovani a dire la loro, per sapere come vedono l’Europa da Alatri.

@FrancescoBoezi

Davvero l’Europa è un Erasmus di sei mesi in cui conseguire, magari più facilmente, una laurea? Veramente è la possibilità di volare ad un prezzo più basso, mangiare lo stesso panino ad ogni stazione, il numero di Gran Premi di Formula Uno sul suolo continentale, il deprezzamento del valore commerciale della Premier League, il regolamentato numero delle forme di formaggio esportabili dal Veneto a Londra? Oppure è il divieto di oliera nei ristoranti? La normativa per realizzare i soffioni della doccia? il regolamento sul tachigrafo digitale? Quello sulla curvatura del cetriolo?

No. Questa non è l’ Europa. E’ solo la piccola e mercantizia Unione Europea. Quella del linguaggio dei politici vuoto e tecnocratico, del talk about talk, quella nata da un ideale puro ed arrivata a misurare la felicità in termini di Pil, deficit e percentuali. E da questa roba si può, forse si deve, uscire. Si può uscire da chi ha monopolizzato i bisogni dell’essere umano consegnandoli a triple AAA delle agenzie di rating, allo spread tra Btp e Bund, al valore di scambio attribuito all’essere umano circolante. Nel mentre aumenta ad infinitum il desiderio di desiderare sempre di più e sempre di meglio, rendendo così qualunque realizzazione personale inaccessibile o, comunque, migliorabile. Il desiderio divenuto insopportabile, lo chiama Houellebecq. Il tutto in una grande giostra di scambi generalizzati: lavorativi e relazionali. Poco importa se riguardino merci o persone. Lo sentono tutti, intanto, lo scricchiolare del sistema sanitario e del welfare state, in un vecchio continente in cui non nasce più nessuno, avendo scisso culturalmente il piano della sessualità da quello della procreazione. Ed una crisi demografica apparentemente irreversibile, d’altro canto, è destinata a condurre alla morte scritta di una civiltà. E’ dall’Unione Europea sì ma è anche e soprattutto da questo tipo di società occidentale, in fin dei conti, che si dovrebbe operare una Brexit. La matematica in termini brutali sa dirci che nell’UE ci sono più decessi che nascite, prescindendo dai dati dell’immigrazione. Lo dice, tra gli altri, Pierre Hilard, il teorico dell’annichilimento dell’anima davanti ai giovani decerebrati del Grande Fratello.

E l’Europa? L’Europa non è questo. L’Europa è il pianoforte di Wolfgang Amadeus Mozart che torna a Vienna dopo 200 anni e viene celebrato da un concerto, è il monopolio del cuore, dei sentimenti e della condivisione stretti attorno al Pantheon, al Partenone ed alla cattedrale di Colonia. L’Europa sono i Pink Floyd e la loro atmosfera claustrofobica in “Animals”, sono i villaggi di pescatori nelle isole Lofoten e sono i 4002 endecasillabi della Chanson de Roland. L’Europa è Leonardo da Vinci che parte con la missione di omaggiare Ludovico il Moro, è Stephane Grappelli che fa deporre le sue ceneri in una cittadina megalitica, è il filo che lega Dante, Shakespeare, Ibsen, Nietzsche, Kant, Beethoven, Pirandello, Svevo, Chopin, il Tevere, Van Gogh, Leopardi, Petrarca, Platone, Socrate, Van Basten che segna dalla bandierina del calcio d’angolo, i lungarni toscani, Pertini che gioca a carte con Zoff e Fabrizio De Andrè che si commuove mentre la figlia intona ” khorakhanè”. E’ Ulisse che torna ad Itaca mentre i parametri economici dei tecnocrati mettono in discussione l’appartenenza della Grecia all’Unione Europea. E dall’Europa vera, da tutto questo, non si può e non si deve uscire. Si deve rientrare, semmai. Umilmente, con la consapevolezza di aver atomizzato l’individuo, di aver profanato il sacro, la cultura, la letteratura e l’arte in nome del mondialismo, del globalismo e della più potente delle ideologie, il capitalismo neoliberista. Lasciare Calipso incompiuta e tornare ad Itaca, questa sì, sarebbe la Brexit di cui avremmo tutti tanto bisogno. Anche se facciamo finta di non saperlo.

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Un pensiero riguardo “L’Europa in cui dobbiamo rientrare

  1. Ho letto con interesse l’articolo e condivido in pieno le argomentazioni apportate, argomentazioni che denotano una riflessione ed una consapevolezza non comunemente riscontrabile.
    Il punto di non ritorno appare palesemente essere l’introduzione della moneta unica imposta ai loro cittadini da parte di alcuni Paesi membri.
    Al fine di malcelare questo palese orrore finanziario, vengono quotidianamente propagandate notizie relative a flussi indiscriminati di migranti ipoteticamente fermati da muri o fili spinati o, purtroppo, in occasione climatiche legate ai mari meno agitati, dai gurdiacoste.
    Nello stesso modo vengono determinate nuove precarietà in ambito occupazionale, precarietà che hanno l’esclusivo fine di determinare altrettante precarietà nell’aggregazione sociale.
    Tutto ciò, non può che comportare una voluta distruzione di una identità culturale condivisa nell’immaginario collettivo dei giovani, purtroppo non più richiamabili alla realtà “off-line” con un ceffone, come da buona tradizione europea.

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