La domanda di Roberto. Chi è davvero il futuro?

@RobertoFormekStramaccioni

Cosa ci si aspetta dall’idea di un giovane uomo pensando al futuro? Entusiasmo, ottimismo, progetti, fantasie utopistiche.

Niente di tutto questo. L’ottimismo di un giovane finisce quando si smette di credere di poter fare qualcosa per cambiare la realtà che lo circonda. Quando, dopo tanti tentativi, si arriva alla conclusione massima: “per quanto se ne parli tanto, nessuno vuole cambiare le cose”. O quando si convince che l’entusiasmo che può apportare verrà sempre rinchiuso in uno sgabuzzino. Nessuno lascia veramente spazio ai giovani, ai loro progetti, alle loro innovazioni. In nome di un’esperienza tanto sbandierata da chi, in realtà, ha portato ad una realtà accartocciata su sé stessa. Un giovane è un bambino che sogna, “i veterani” guardano con scherno la magia e la potenza del sogno, della fantasia. In una società del genere, nasce il feticcio del rito, morbosamente ripetuto. Guai a chi vuole disfare anni di fissazioni su schemi mentali. Si vuole il cambiamento, ma senza cambiare nulla. Una corsa sul posto che si conclude con una bella buca nella tradizione, al posto di una strada verso il cambiamento. Per carità, nessuno toglie alla traduzione il suo valore o la sua importanza. E’ il feticismo che distrugge il valore delle cose, rendendo il tutto morbosamente perverso. Mi domando sempre: “chi sa cosa avranno pensato quando sono state create le prime manifestazioni, successivamente divenute tradizioni? Avranno urlato al rogo? Quanto ci avranno messo per capire quello che un singolo uomo ha realizzato dalla sua immaginazione?”. Una società che acclama le parole di Steve Jobs e poi smonta qualunque iniziativa; che parla di turismo e accoglie al grido di “ma da do’ s’è partit’ chiss?”. Resta il disincanto. Il mio paese, la mia nazione, vivono nel disincanto.

In questa fase così dura da accettare, dopo aver creduto di essere il centro del mondo, di essere così potenti da toccare il cielo con un dito, ci si chiude nella tristezza, il pessimismo e la paura. Ci si chiude nella visione individualistica e si rinuncia alla collettività: elemento fondamentale per il benessere di una comunità ma anche degli individui.

Potrei citare mille attività distruttive in cui ci si rifugia quando si vive questo malessere psicologico (forse anche spirituale). Basta guardarsi attorno per vedere che tipo di società stiamo alimentando. Perciò proverei a dare una folle soluzione, di quelle che solo la fantasia di un bambino saprebbe dare. Poi rifletto e mi rendo conto che, forse, sono stato anch’io plagiato ed i miei sogni sono contaminati. Mi rendo conto che tra me e la generazione successiva c’è un abisso e che dovrei prima farmi alcune domande.

E’ qui che capisco quale unico consiglio potrei mai dare a chi vorrebbe cambiare le cose.

Lasciate spazio al futuro e domandatevi: sono davvero io il futuro?

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