Un decreto del giudice ordina all’ATO5 di pagare al comune di Alatri quasi un milione e duecentomila euro. L’ATO5 ne rivendica oltre ventotto dall’ACEA. Ma la vicenda, nata da un’iniziativa dell’avvocato Remo Costantini, pone domande delicate e porta a una conclusione.
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L’esecuzione provvisoria del decreto ingiuntivo con cui il giudice impone all’ATO5 (Ambiente territoriale ottimale) di pagare al comune di Alatri un debito di circa 1 milione e 200 mila euro è una buona notizia. Se ne occupa stamattina (domenica 22 novembre) Ciociaria Oggi che, con un servizio a firma Massimiliano Pistilli, ricostruisce sinteticamente la vicenda, che parte da lontano. Dal momento in cui, dodici anni fa, l’ATO5, costituito da quasi tutti i comuni della nostra provincia, ha ricevuto da questi le infrastrutture del sistema idrico integrato (gli acquedotti, le fogne, i depuratori, ecc.) per affidarle a sua volta alla società chiamata a gestire il servizio (erogare l’acqua, smaltire le acque reflue e gli scarichi fognari) e cioè l’ACEA.
Sembra un garbuglio ma, alla fine, la questione è molto più semplice di quanto non appaia. Proviamo a spiegarla, seguendo la sentenza del giudice istruttore (Daniela D’Auria) che lo scorso 9 novembre si è pronunciato sul contenzioso. Bisogna partire dall’inizio, scusandoci in anticipo per la lunghezza del post. Ma credeteci, stavolta ne vale la pena.
Il Patto non rispettato dall’ATO5 e dall’ACEA
I comuni, prima della legge che, ventuno anni fa, ha imposto loro di associarsi negli Ambiti territoriali ottimali (da noi, come abbiamo detto, l’ATO5) per superare le gestioni comunali degli acquedotti, erano ovviamente i proprietari di quelle infrastrutture, costruite nel tempo e finanziate con mutui ancora da estinguere. Per compensare questi investimenti, il patto, perciò, era stato questo: i comuni avrebbero consegnato i loro impianti all’ATO5 e l’ATO5 avrebbe provveduto a rimborsarli delle “rate di mutuo contratti per la realizzazione di queste opere”. L’ATO5, poi, che nel frattempo (con una convenzione del 2003) aveva affidato la gestione del servizio idrico e fognario (con i relativi e rilevanti introiti) alla società ACEA avrebbe dovuto ricevere da questa un “canone di concessione per l’utilizzo delle reti fognarie ed idriche di pertinenza dei comuni”. Insomma, l’ATO5 avrebbe pagato i comuni e l’ACEA avrebbe pagato l’ATO5. Tutto questo, messo nero su bianco con la dovuta ufficialità, è avvenuto solo per un breve periodo, dal 2008 non è avvenuto più. L’ATO5 non ha versato nulla di quanto doveva ai comuni, l’ACEA non ha pagato i suoi canoni all’ATO5, i comuni, invece, hanno continuato a pagare le rate dei loro mutui e a non ricevere i rimborsi per la parte già pagata.
L’azione legale inizia nel 2011
Una situazione paradossale che è andata avanti per anni. Fino al 2011, quando l’allora assessore al bilancio del comune di Alatri, l’avvocato Remo Costantini, ha affrontato di petto la questione. E si è rivolto (incaricando l’avvocato Enrico Danielli) al giudice per ottenere quanto era stato previsto negli accordi, e cioè il rimborso delle rate dei mutui contratti per realizzare le opere trasferite all’ATO5 e successivamente date in gestione all’ACEA.
L’Autorità che governa l’ATO5 (e cioè chi avrebbe il compito di rappresentare e tutelare i comuni associati, nel nostro caso il presidente della Provincia) si è opposta alla richiesta del comune di Alatri. Con una motivazione strabiliante. E cioè che la somma rivendicata dall’amministrazione della nostra città non poteva essere restituita per mancanza di fondi. Non perché, dunque, il comune non avesse ragione. E la mancanza di fondi si doveva, a detta sempre dell’ATO5, a una causa ben precisa: il fatto che l’ACEA non aveva versato all’ATO5 quanto avrebbe dovuto (una cifra pari a 28.699.699, 48 euro): insomma l’ATO5 era moroso nei confronti del comune di Alatri perché l’ACEA era morosa nei suoi confronti, tanto da costringere l’ATO5 a intraprendere (nel 2012) un’azione giudiziaria per il recupero di questo credito. Un’iniziativa, quest’ultima, ancora senza esito.
La decisione del giudice
La questione tra comune di Alatri e ATO5 si è protratta fino a due settimane fa quando il giudice (che sottolinea in apertura della sua ordinanza che la causa “assegnata alla scrivente in data 22 aprile 2013 è stata portata all’attenzione del nuovo organo giudicante solo nel mese di luglio del 2015”) ha ordinato all’ATO5 di rimborsare quanto dovuto al nostro comune. E ha stabilito anche la cifra, 1.182.227,94 euro, un po’ meno della metà di quanto rivendicato dal comune e su cui il giudice stesso si pronuncerà in modo definitivo a metà dell’anno prossimo.
Crediamo che debba essere dato merito all’avvocato Costantini che cinque anni fa, con solitaria caparbietà, propose questa azione che oggi si conclude positivamente. Il comune recupera somme che gli erano dovute e che serviranno a rendere meno grave la sua situazione finanziaria. C’è da sperare che tali somme siano utilizzate in modo adeguato, soprattutto per attenuare il peso delle tariffe sulle famiglie della nostra città, particolarmente quelle che fanno più fatica a far fronte alle necessità di tutti i giorni.
Cinque domande a cui ATO5 e sindaci debbono rispondere
Restano aperte, però, una serie di domande che impongono risposte tempestive e chiare.
La prima domanda è questa. Se il comune di Alatri ha avuto ragione sul recupero del suo credito nei confronti dell’ATO5 fino al 2011 (data di inizio dell’azione giudiziaria, che dunque ha riguardato gli anni precedenti), ha ragione anche per gli anni successivi. Il debito dell’ATO5 è andato cioè aumentando fino ai giorni nostri. E allora, il comune (la maggioranza attuale, subentrata alla precedente proprio nel 2011) ha provveduto a rivendicare le somme maturate in questi ultimi cinque anni? Non si ha notizia di iniziative del genere, ci auguriamo che siano state effettuate. Ma se non lo fossero state, il sindaco e l’assessore al bilancio hanno il dovere di spiegarcene il perché.
La seconda domanda è questa. Se il comune di Alatri ha avuto ragione nella sua rivendicazione nei confronti dell’ATO5, è evidente che anche gli altri comuni, nelle identiche condizioni, hanno di che rivendicare. Lo hanno fatto? E se non lo hanno fatto, perché?
La terza domanda è questa. L’ATO5 afferma che ACEA ha un debito cospicuo nei suoi confronti e ne chiede il pagamento al quale, invece, l’Azienda si oppone. I patti sottoscritti sembrano chiari. Per quale ragione, dunque, l’ACEA contesta la rivendicazione dell’ATO5? E non è già questo contenzioso un motivo sufficiente perché i sindaci dell’ATO5 assumano un’energica iniziativa politica nei confronti dell’Azienda che, da una parte, non versa quanto dovuto e dall’altra, però, chiude i rubinetti alle famiglie in difficoltà? Dice di avere il diritto di agire così nei confronti dei cittadini “morosi” e, nello stesso tempo però si rivela (lo dice l’Autorità dell’ATO5) incallita “morosa” essa stessa nei confronti delle comunità della nostra provincia.
La quarta domanda è questa. L’Autorità dell’ATO5 è il presidente della provincia. Nel 2012, quando l’ATO5 ha iniziato la sua rivendicazione contro l’ACEA per i canoni non versati (successiva a quella del comune di Alatri nei confronti dell’ATO5 stesso), il presidente della provincia era Antonello Iannarilli. Nello stesso tempo, però, l’allora presidente si opponeva, nella sua veste di Autorità di ATO5, alla iniziativa del comune di Alatri ( e incaricava per questo uno studio legale per 12.000 euro). Era obbligato a farlo? Non sarebbe stato preferibile partire dalle acclarate inadempienze sia dell’ATO5 da lui presieduto sia dell’ACEA nei confronti dell’ATO5 per trovare una soluzione politica all’intricata e plurima disputa?
La quinta e ultima domanda è questa. Nell’ordinanza che dichiara eseguibile il decreto ingiuntivo, il giudice ricorda che sarebbe stato possibile per i comuni ottenere dall’ACEA il canone per la concessione delle reti del servizio idrico. Per farlo sarebbe bastata l’autorizzazione da parte di ATO5 al gestore “di corrispondere direttamente ai comuni tali rati di mutuo”. L’Autorità di ATO5 non ha esercitato, sottolinea il giudice, “la predetta facoltà”. Perché non lo ha fatto? Perché i sindaci non lo hanno preteso?
La conclusione
La conclusione è una sola. Le modalità di gestione dell’acqua pubblica, è il caso di dirlo e scusate il banale gioco di parole, fanno acqua da tutte le parti. Le convenzioni e i contratti non vengono rispettati, i rimborsi pattuiti per opere eseguite con danaro pubblico non vengono pagati. Il tema non può restare confinato solo all’interno delle aule giudiziarie. La parola deve tornare ai cittadini e a chi sente ancora il dovere di tutelarne gli interessi. Su questo c’è già l’impegno di ALATRI IN COMUNE.