Suo figlio sarebbe anche bravo ma proprio non si applica
La scenetta era più o meno sempre la stessa, tutti gli anni.
Quando andavo al liceo dicevo a mio padre che ci sarebbero stati i consigli con i genitori il giorno stesso, mentre mi accompagnava a prendere l’autobus delle sette e sette. Così facendo, credendo di metterlo in difficoltà, speravo che non sarebbe riuscito a trovare il tempo per venire. Lui però puntualmente ci riusciva e, purtroppo per me, andava.
Quando rientrava a casa sapevo già cosa mi avrebbe aspettato: “Angelo, vieni un attimo di qua” mi diceva. Mi sedevo e, con lo sguardo basso di chi è stato sconfitto nonostante abbia provato a giocare sporco, ascoltavo cose che già sapevo, la solita tiritera.
L’unica cosa che mi premeva però era capire quanto fosse arrabbiato o, detto in modo tremendamente più cinico, quanto la mia uscita del sabato sera sarebbe stata a rischio punizione. E anche quando gli chiedevo “Sei arrabbiato?” la risposta non cambiava, mi ripeteva sempre “non sono arrabbiato, sono deluso”. Certo, il peso di quella delusione faceva male, probabilmente anche più del cazziatone che avrei meritato, ma poi capivo che il sabato sarei comunque potuto uscire e smettevo di pensarci su e tornavo a non studiare.
Oggi ho capito che non basta più dire che siamo delusi dal sistema e dalla politica, perché così facendo, provando a far leva su buona fede e intelligenza, li autorizzeremo a uscire e a continuare a non studiare. In questo caso, e a maggior ragione perché siamo poco più che dei “liceali”: meglio incazzati e a sporcarsi le mani che profondamente delusi, immacolati e lontani.
Il tuo scritto mi ha commosso e mi ha fatto riflettere, grazie Angelo…
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