Il sottosegretario con delega all’editoria, il pentastellato Vito Crimi, annuncia che dal 2020 i contributi pubblici all’editoria saranno cancellati. Le prime (e forse uniche vere vittime) di questo provvedimento saranno i giornali delle cooperative e locali, che svolgono una funzione inostituibile e non ce la fanno da soli per le ristrettezze del mercato pubblicitario e la limitatezza del loro potenziale “lettorato”. Nel passato molti sono stati gli abusi permessi dalla mancanza di controllo sui requisiti e complicità con le false cooperative. Una bonifica è necessaria, con nuove regole, ma non la soppressione. Un sindaco propone di presentare e votare ordini del giorno consiliari, mi associo alla proposta. Il mio articolo sull’INchiesta del 27 Ottobre
Condivido la proposta del sindaco di Pastena Arturo Gnesi di far votare ai consigli comunali un “atto di indirizzo” in cui venga sostenuta e motivata la conferma dei contributi pubblici destinati ai giornali locali ed editi da cooperative giornalistiche.
Ho letto le dichiarazioni dell’attuale sottosegretario alla presidenza del Consiglio con delega all’editoria, onorevole Vito Crimi, ne apprezzo la volontà di “bonificare” (se di questo si tratta) un settore che nel passato è stato segnato da irregolarità di ogni tipo, di cui si sono rese protagoniste finte cooperative, ma il suo preannuncio di un azzeramento totale dei fondi a partire dal 2020 lo considero solo un tributo all’ideologia della cosiddetta libertà di mercato (in verità null’altro che un feticcio, nell’editoria come in altri comparti economici) e un fraintendimento del senso e del ruolo del finanziamento pubblico alla stampa. Stiamo parlando di cifre che, nei momenti di massima abbondanza, non hanno mai superato i 500 milioni di euro, compresa la quota destinata al servizio pubblico della Rai, e che nel tempo si sono ridotte fino agli attuali 200 milioni, cancellarle significa – come è stato più volte dimostrato – scaricare un peso maggiore sul bilancio dello stato (in termini, per esempio di “ammortizzatori sociali” per l’occupazione) e una catastrofe per le imprese giornalistiche “pure”, quelle che non hanno padroni occulti che, grazie all’editoria e al suo prestigio, coprono obiettivi e interessi diversi da quelli della libera informazione.
L’aspetto della ricaduta sulle imprese, che già sono in difficoltà per la congiunta diminuzione della pubblicità e delle vendite conseguente alla crisi generale ma anche al periodo di trasformazione che tutto il sistema della comunicazione sta vivendo, è però solo un aspetto, forse nemmeno il più importante. La questione vera – quella che motiva una presa di posizione netta dei consigli comunali dei nostri comuni – è che l’azzeramento dei contributi pubblici porterà alla fine della stampa locale, di tutti quei giornali e periodici (ma analogo discorso può essere fatto per radio e tv locali) che informano su quanto avviene nelle nostre vicinanze, cercano di spiegarlo e approfondirlo, danno evidenza alle attività locali, diffondono notizie di pubblica utilità che le amministrazioni, in specie quelle più piccole, non riuscirebbero senza di essi a dare con prontezza e continuità. Questa stampa non può reggere senza un aiuto pubblico, non ci sono i presupposti di “mercato”, un bacino potenziale adeguato di “lettorato”, una realtà produttiva tale da generare flussi pubblicitari consistenti (e la pubblicità ha coperto – oggi meno, ed è una delle cause del tracollo – oltre la metà dei bilanci delle imprese editoriali).
Fino a qualche anno fa sono stato membro della presidenza nazionale di Mediacoop, l’associazione di rappresentanza delle cooperative giornalistiche: in quella sede, con gli altri colleghi, oltre a ingaggiare furibonde battaglie contro gli imbroglioni dell’editoria giornalistica abbiamo proposto misure nuove e chiesto regole semplici ma rigorose (a sovrintendere al fondo dell’editoria abbiamo avuto, presso la presidenza del Consiglio, presunti manager del tutto al di sotto del compito). Uno dei fili dei ragionamenti svolti, che potrebbe essere ripreso oggi, è stato quello secondo cui si sarebbero potute reperire le risorse necessarie per coprire i finanziamenti non dalla fiscalità generale ma dai ricavi della pubblicità: in sostanza si intendeva sostenere che, risiedendo nella ineguale (e spesso ingiustificata) distribuzione del ricavo pubblicitario (attratto qui da noi dalle televisioni in maniera abnorme, rispetto a tutti gli altri paesi) la ragione fondamentale della sofferenza della stampa cooperativa e locale, sarebbe occorso un intervento “omeopatico”, un prelievo dal fatturato complessivo pubblicitario tale da attenuare l’asimmetria del mercato (rendendolo in tal modo davvero più libero) ristabilendo, diciamo così “ope legis”, condizioni di pari accessibilità.
Mi pare di aver letto da qualche parte alcune dichiarazioni di Crimi nelle quali egli faceva riferimento a un meccanismo del genere, ma non le ritrovo purtroppo nelle ultime interviste e nell’ancora più preoccupante post che è comparso sul suo blog, dove forse per la volontà di stupire e compiacere i “correligionari”, sono scomparsi riferimenti a questa proposta più complessiva, che permetterebbe di mantenere senza scandalo il finanziamento pubblico (in questo caso sarebbe più esatto dire “finanziamento garantito dal pubblico”).
In attesa di saperne di più (l’anno zero sarà il 2020), è giusto farsi sentire, è opportuno sollecitare i consigli comunali, così come tutte le associazioni di cittadini che svolgono attività di interesse generale di cui solo la stampa locale riesce a dare notizia, a prendere posizione. Non per difendere corporazioni inesistenti (almeno a questo livello) ma le ragioni di quell’articolo 21 della Costituzione che mira a preservare il diritto del cittadino a essere informato, come una delle attuazioni concrete del principio della libertà di espressione.
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