La parola a Fontana San Pietro

Si è tenuto (il 15 novembre) l’atteso consiglio comunale aperto sugli insediamenti produttivi previsti nella zona di Fontana San Pietro, duramente osteggiati dai cittadini residenti e dalle organizzazioni ambientaliste e mediche. Si tratta di un “impianto di trattamento di rifiuti inerti” e di “un impianto di trattamento di rifiuti speciali non pericolosi costituiti da biomasse vergini”. Il consiglio non poteva deliberare (per Regolamento) ma ha discusso approfonditamente i diversi punti di vista. Una seduta “storica” che non può però solo essere sede di semplice registrazioni di opinioni; per dare risultati deve essere seguita da una assunzione di responsabilità politica, da un atto cioè con cui l’amministrazione dia il suo parere e suggerisca un indirizzo su un punto essenziale: la necessità che venga cambiato il piano regolatore dell’Area industriale restituendo alle zone di Alatri in esso inserite, e che oggi sono incompatibili con la destinazione industriale, un assetto diverso. Ecco perché l’ordine del giorno, che darà, nella prossima udienza consiliare, una conclusione formale alla discussione del consiglio “aperto” dovrà certo richiedere che una rappresentanza dei cittadini di Fontana San Pietro siano ammessi – come ha proposto l’assessore regionale Buschini – al tavolo in cui si decideranno le autorizzazioni, valutandone l’impatto ambientale. Ma dovrà anche reclamare una “moratoria” del procedimento in corso, in attesa che la legge regionale sulle zone in classe 1 (a elevato inquinamento), tra cui compare Alatri, definisca le linee guida cui attenersi per i nuovi insediamenti produttivi.  Ecco la “traccia” del mio intervento in Consiglio.

 @tarcisiotarquini

La competenza di questo Consiglio Comunale non è tecnica, anche se deve avvalersi di risultanze e approfondimenti tecnici e scientifici per arrivare a formulare l’opinione politica che gli deve essere, invece, propria.

Il dato di fatto da cui partire è l’assoluta contrarietà a questi due insediamenti da parte dei cittadini che risiedono e vivono nella zona. Con l’aggiunta di un particolare che non è possibile trascurare e che dà all’intera vicenda una dimensione ancora più ampia di quella che ha. E cioè che la comunità interessata non riguarda solo il comune di Alatri ma si allarga ai comuni di Frosinone e Ferentino, e questo dato già evidenzia il limite di un processo decisionale parziale, messo in capo, o in carico, a un solo comune chiamato a parteciparvi.

Detto per inciso, questa intercomunalità del problema e della comunalità della decisione in merito permette anche alcuni espedienti, non so se chiamarle furbizie, come quelle che si leggono nella relazione dell’azienda interessata che, per misurare l’impatto acustico in relazione alla distanza delle abitazioni, si ferma a guardare quelle che riguardano le abitazioni nel territorio di Alatri e non anche quelle che riguardano il territorio di Ferentino, molto più vicine eppure completamente stralciate dalla memoria presentata ai fini del rilascio dell’autorizzazione (relazione tecnici di parte, studio Fontana).

Le questioni sollevate sono numerose. C’è un problema ambientale, di cui il dato dell’impatto acustico è solo uno degli aspetti da considerare, anche se è quello più eclatante perché quello più trascurato nelle relazioni, sia sotto il profilo descrittivo sia sotto il profilo dei rimedi da adottare per attenuarne la pericolosità.

Del capitolo ambientale fa parte la questione delle falde acquifere attive e del laghetto sommerso probabilmente nel 2012 e su cui dovrebbe sorgere parte dell’impianto. L’esistenza di un laghetto, che qualcuno tenta di derubricare a un canale di scolo di acque piovane – e se così fosse sarebbe un singolare canale di scolo, tanto persistente da richiamare fauna che vive e vegeta nei corsi d’acqua, la foto dell’airone ha giustamente colpito tutti – induce a ragionamenti molto ampi. Sui criteri con i quali questa zona è stata individuata per area industriale. È imminente la elaborazione del nuovo piano regolatore dell’area industriale e il comune di Alatri, insieme con i comuni vicini che, al pari di quello di Alatri, fanno parte dell’assemblea del Consorzio, dovrà farsi interprete della necessità di adeguare quel piano alla realtà vera delle aree interessate.

(Nelle immagini, il laghetto che c’era e che non c’è più. In Consiglio il sindaco ha sostenuto che si trattava di un fosso abusivo, poi riempito. Nella relazione presentata dagli abitanti di Fontana San Pietro si afferma che i ragazzi ci andavano a pesca di carpe. Pure l’airone, della foto in evidenza, ci andava. Un abusivo anche lui?)

 

La situazione ambientale induce a ragionamenti preoccupati anche e soprattutto sulla compatibilità con elementari ragioni di salute e sicurezza; la presenza di falde acquifere ricche e facilmente raggiungibili è un elemento decisivo a descrivere la pericolosità, sotto questo aspetto, dell’insediamento prospettato.

Ancora un dato ambientale è evidenziato dal transito degli automezzi, su un percorso viario non adeguato, che peserebbe su una realtà stradale, ripeto, già ora inadatta.

C’è la questione dell’inquinamento delle polveri sottili, contro cui si ingaggiano battaglie giuste, anche se con provvedimenti molto discutibili che assomigliano molto agli adempimenti burocratici per mettere a posto le carte e lasciare la realtà così come è. Adesso però abbiamo addirittura in mano la decisione se determinare un aumento di queste polveri con una nostra scelta. Non è di poco conto valutare i dati che ci vengono forniti con le evidenze conseguenti.

Si dice che l’azienda ha i suoi diritti, anche essi da riconoscere e tutelare. Non c’è dubbio, non si demonizza l’azienda che opera all’interno del quadro delimitato dalle leggi, non si parla di questo o non si dovrebbe parlare di questo. E, infatti, molto semplicemente è sbagliata la decisione pubblica che ha portato a individuare con superficialità questa area di cui discutiamo come area di insediamento industriale, in dispregio del suo valore ambientale. Se è così dobbiamo rivedere quella decisione, riportare razionalità nella scelta.

Oppure si dice che una certo livello di contraddittorietà tra ambiente e produzione è da mettere nel conto e che per gli obiettivi della produzione, e della occupazione (nel caso in questione comunque di poche unità), bisogna pur compiere qualche sacrificio. Ma questo è davvero un discorso vecchio e soprattutto è un discorso che non incontra più alcun favore nell’opinione pubblica, nella comunità; la contrapposizione di un interesse alla salute con l’interesse al lavoro è improponibile. Lo hanno capito le aziende, lo deve capire l’amministratore che deve affrontare e risolvere la questione della produzione coniugata con il massimo di tutela ambientale e alla salute e per riuscirci deve saper leggere le vocazioni del suo territorio e decidere attraverso la sua riorganizzazione dove è possibile la produzione e dove questa non è possibile perché compromette beni più grandi.

Un capitolo centrale è perciò quello urbanistico. Io ho affrontato in questo Consiglio comunale un problema riguardante Fontana San Pietro per una variante urbanistica approvata per un progetto di impianto sportivo. Adesso veniamo consultati per un impianto produttivo. Poi scopriamo che c’è un ambiente paesaggistico trascurato ma da tutelare. Che c’è una densità abitativa da zona residenziale. Che c’è una realtà demografica consistente, alcune centinaia di persone, con una percentuale di minori non trascurabile.

Questo conferma che il disordine urbanistico, la mancanza di programmazione del territorio sono elementi di rischio per la popolazione e che è semplicemente da irresponsabili continuare a vivere nella provvisorietà e nell’emergenza delle scelte. Da questi progetti di Fontana San Pietro manca proprio questo, quella visione più complessiva dell’intervento pubblico per dare un senso accettabile a questa operazione di insediamento, se un senso può averlo, una visione che permette lo svilupparsi delle misure correttive, compensative, individuate e decise insieme.

Tutto vero, ma la questione di fondo – quella che deve interessarci come consiglieri, il cui compito essenziale è di garantire, con la nostra attività e con l’autonomia della funzione che al Consiglio comunale viene riconosciuta da legge, Statuto e Regolamenti, è quella di difendere la qualità della vita democratica, la qualità e trasparenza dei processi decisionali, la cura della volontà dei cittadini, soprattutto quando si trovano in una posizione di debolezza, anche conoscitiva, rispetto a istanze e a poteri più forti.

Vedo e sento che vengono proposti studi, pareri di esperti, dati statistici, ecc. ma ricordo a tutti che il problema oggi non è questo. Il punto è la sfiducia che i cittadini hanno nei confronti delle autorità, anche se queste ammantano le loro decisioni con il supporto di dati e analisi scientifiche o pseudo tali. Perché manca il rapporto di fiducia che dia autorevolezza al discorso statistico; recentemente è stato pubblicato un saggio che si intitola “La fine della statistica” ma tratta proprio di questi aspetti, della sfiducia in una descrizione del mondo, o anche delle piccole cose che riguardano la vita nostra come singoli e comunità, condotta dagli esperti. L’unico modo di risolvere è chiamare i cittadini a decidere, chiamarli a prendere parte al processo che forma la decisione, e che perciò porta a vagliare insieme le informazioni, a verificarle, a contestarle.

Si chiama democrazia partecipativa e dovremmo inserirla nel nostro modo di essere istituzione come modalità che adottiamo per ogni scelta che ha un impatto diretto e particolarmente su temi delicati, come la salute, sui quali la sensibilità è vivissima perché altissimo è il tema da tutelare.

Ho visto molti atteggiamenti sbagliati da parte del Comune. La chiusura alle richieste di informazione dei cittadini che dal primo momento dovevano essere investiti della questione, perché noi non siamo i padroni della vita degli altri e anzi il senso più alto del nostro compito è di mettere la vita degli altri e della nostra comunità in cima ai nostri pensieri.

È sembrato che delegassimo ad altre istanze istituzionali le responsabilità che debbono essere le nostre, anche se le leggi le delegano formalmente ad altri. Perché tutto ciò che riguarda questa comunità dipende da noi; può dipendere anche da altri ma sicuramente riguarda e dipende da noi. E noi non possiamo passarlo nelle mani di altri, come se si trattasse di una patata bollente di cui liberarsi. Perché quella patata bollente ce l’abbiamo in mano noi, siamo stati votati per questo.

Facciamo la nostra parte da subito. Facciamo nostre le preoccupazioni dei nostri concittadini di Fontana San Pietro e chiediamo alla Regione che il percorso autorizzativo approfondisca tutti gli elementi che sono emersi e sono stati portati all’attenzione dal lavoro encomiabile dei cittadini della zona. Non è sufficiente affermare che il vero problema sarà di stare attenti, che le autorizzazioni dovranno essere concesse e che il vero problema saranno i controlli perché esse vengano rispettate. Quale credibilità ha un proponimento come questo in un comune che non è stato nel passato e non è capace nel presente di controllare nulla e dove, soprattutto per le questioni ambientali, scontiamo un disinteresse totale?

Chiediamo e pretendiamo, insieme, che la zona di Fontana San Pietro per le sue caratteristiche naturali e la sua conformazione urbanistica abbia una destinazione urbanistica adeguata. Ho sentito cose spiacevoli, per esempio, anche in questa aula alcuni giorni fa sul fatto che la radice dei problemi di oggi siano nei comportamenti di quelli che hanno costruito in questa zona, alludendo così a eventuali situazioni abusive – peraltro, credo, sanate con condoni non poco onerosi. Questa è un atto di vigliaccheria politica che dà la misura misera di chi lo compie.

Chiediamo al Consorzio ASI di trovare vere aree industriali e di programmare uno sviluppo di queste nostre terre sulla base di un paradigma diverso da quello irripetibile del passato che ha portato benessere ma anche malessere che nel lungo periodo si sta evidenziando con tratti di drammaticità inauditi.

Chiediamo alla Regione che la legge sui comuni in classe 1, con alti tassi di inquinamento, preannunciata in apertura di seduta dall’assessore regionale Buschini, sia varata al più presto, e intanto impegniamoci a ottenere una “moratoria” del procedimento autorizzativo in corso che dovremo rivedere necessariamente sulla base delle indicazioni che verranno dettate dalla legge stessa.

Chiediamo ai comuni vicini, interessati quanto noi, di ragionare insieme sull’assetto di aree il cui destino interferisce con i cittadini e che vivono in ciascuno di loro. Chiediamo alla Regione di tenere conto di tutto questo e di una volontà collettiva di superamento di una realtà forse accettata ieri ma oggi semplicemente improponibile.

Facciamolo come Consiglio comunale, lo faccia lei signor sindaco dimostrandosi capo e punto di riferimento di una comunità e non solo il rappresentante di una macchina burocratica lontana dai cittadini e incapace di guardare, con lungimiranza, al loro futuro.

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