Quella volta che Alatri è morta tra Castagneto e il Bronx

Lettera aperta all’elettore di Alatri in cui si spiega perché un giornalista,  astensionista attivo da anni, questa volta andrà a votare. E per qualcuno che non avrebbe mai sospettato. Ma dietro questa decisione, c’è una storia.

@FrancescoBoezi

Caro elettore di Alatri,

forse ti conosco personalmente, sicuramente scriverò delle tue scelte quando nella notte tra il 5 ed il 6 di Giugno il Direttore Di Scanno se la prenderà con me perché invece di mandare per tempo i risultati, me ne sarò andato con i miei amici a tracannare Cesanese del Piglio da qualche parte.

Lascia che ti racconti la storia di quando Alatri è morta. Avevo poco meno di vent’anni e mi ero concesso il lusso di fare politica. Vivevo nella convinzione che la militanza consistesse nella missione di addossarsi discreti quantitativi di merda, nell’attesa che il tempo, la formazione e i capi-corrente concedessero la possibilità di una candidatura. Poi ho scoperto che i valori determinanti erano le promesse, l’asfalto, la ghiaia, i lampioni, i soldi. Procedo con ordine.

Mio nonno Gino è una delle persone cui ho voluto più bene in vita mia e mi manca tanto. Quando parlava di Alatri, piangeva. Non ne capivo il perché. Ho pianto per il Milan ad Istanbul, per le persone, per gli eventi. Mai per una città. Poi ho capito che l’amore è talmente irrazionale che uno può prendersi una sbandata persino per delle mura megalitiche e conservarla intatta fino a novantadue anni. Insomma, due cose appresi da mio nonno: la capacità di amare e un giustificatissimo timore di base verso i socialisti. Tra di essi ce n’era uno di cui ho deciso di parlarti.

Quando la malattia del cronismo politico infantile mi colpì, decisi che uno dei miei giochi preferiti sarebbe stato quello di riprodurre consigli comunali di cartone ritagliando le foto dei politici da Ciociaria Oggi. Avete presente il Subbuteo? La medesima simulazione del reale ad oggetto politico. Le foto sottotitolate “Psi” ero solito ghettizzarle sotto il divano, nasconderle sotto al tappeto, attaccarle sull’album Panini al posto dei giocatori dell’Inter.

Torniamo però alla storia di quando Alatri è morta. Non erano giorni facili. Avevamo costruito con anni di fatica una realtà giovanile fortissima. Molti si ricorderanno la sezione di Azione Giovani all’inizio della salita per Civita o quella a Porta San Pietro. Erano laboratori di idee e di felicità, di luci accese sino all’alba, di goliardate, di gratuità assoluta. Eravamo tanti. Quando sei sui manifesti elettorali però, sei solo tu, la tua banda di amici sgangherati e i quattro spicci che insieme a loro sei riuscito a raccogliere. Essere un manifesto elettorale era la sensazione più bella del mondo. Avevamo idee ed eravamo liberi, quindi eravamo belli. Ci accorgemmo, però, di non contare un cazzo. La campagna elettorale non si fondava su quello che ci saremmo aspettati. Non sapevamo dell’importanza di possedere una macchina per le pavimentazioni stradali, ad esempio. Non conoscevamo il costo della ghiaia al quintale, non avevamo la capacità economica di poter ristrutturare le sedi di qualsivoglia associazione, il pulmino aziendale per imbrattare tutta la città con le nostre facce, dipendenti da accompagnare al seggio o neomelodici napoletani da invitare per la chiusura della campagna elettorale.

Il nostro lobbysta era un negoziante di tele che ci faceva credito quando acquistavamo il materiale per gli striscioni. Ci confrontammo persino con la vicenda di un noto politicante che da anni consegnava a tutte le vecchiette di un quartiere di Alatri latte e biscotti settimanali. Noi non potevamo offrire niente, neppure promesse finte: eravamo troppo giovani per essere credibili. Insomma, avevamo già previsto l’avvento di quella che in gergo si chiama rara figura di merda. Consci di tutto ciò, combattemmo Donchisciottianamente la nostra battaglia sino all’ultimo giorno utile. Prima dello scadere del tempo regolamentare, accompagnammo l’allora candidato Sindaco in una casa che avevamo individuato essere libera da impegni elettorali. Un’abitazione di confine, tra Castagneto e il Bronx.  E’ lì che scoprimmo che Alatri era morta. Quella famiglia accolse il nostro candidato con lo stesso stupore con cui dei sudditi accoglierebbero sorpresi il loro re.

Scoprimmo che quella abitazione era stata scientemente saltata quando si era trattato di illuminare pubblicamente la zona perché chi vi abitava aveva negato il voto all’allora ras di quartiere. Scoprimmo che per lo stesso motivo l’allora ras non aveva consentito la realizzazione di una stradina che collegasse quella casa sul cucuzzolo alla strada principale. Erano isolati, senza luce, senza strada, sopra un montarozzo e con dei bambini piccoli. Ci si poteva arrivare solo per mezzo di preghiere sentite o di un ottimo motore 4×4. Compresi che oltre alle nostre visioni sistemiche dell’Alatri futura, esisteva un diritto alle piccole cose che la politica negava o concedeva sulla base delle simpatie. Oltre al mercato sommerso di latte e biscotti, insomma, esisteva il gioco del lampione elettorale. Se Alatri fosse morta affogata dentro un cappuccino o per via di un accecamento da luce da lampione, non lo sapevo. Sapevo che era morta, questo sì.

Torniamo al socialista che avevo nascosto sotto al tappeto. Quando Tarcisio Tarquini mi ha chiesto la disponibilità a candidarmi in suo sostegno gli ho solennemente promesso che non lo avrei neppure votato. Pratico astensionismo attivo da quando mi occupo di giornalismo. Caro elettore di Alatri però io una cosa te la devo dire. Ho spulciato e rispulciato le liste elettorali in cerca di qualcuno che non fosse politicamente corresponsabile della mancanza totale di una qualsiasi prospettiva per una cittadina di quasi ben trentamila abitanti. Qualcuno che potesse vincere, scrivere un comunicato stampa con tutte le acca al loro posto e che avesse presentato facce nuove, pulite, propositive, innovative, disinteressate. In Tarcisio c’è più di tutto questo. Da altre parti non ci sono neppure queste condizioni minimali. Quando andrai a votare per il tuo parente, il figlio della nipote di un lontano cugino di tua madre, ricordati che in quella casa sul cucuzzolo potevi finirci tu e che ad Alatri potrebbero volerci o doverci abitare i tuoi figli. Ricordati che una gettata d’asfalto davanti casa può evitarti i fori alle gomme ma non garantirà latte e biscotti a vita per le generazioni future. Fortunate quelle anziane signore delle Civette!

Mi è toccato inserire Tarcisio Tarquini nella mia simulazione del consiglio comunale. Ho dovuto persino farlo sedere sullo scranno di Sindaco. Nella cabina elettorale, del resto, Dio mi vede, mio nonno no.

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