In una lunga intervista al giornalista Corrado Trento, pubblicata su “Ciociaria Oggi” lo scorso 4 febbraio, l’amministratore delegato di Acea ATO5, Paolo Saccani, difende, come è scontato per il ruolo che ricopre, l’operato della sua azienda e si intrattiene ampiamente sul piano di investimenti che da qui a qualche anno dovrebbe migliorare il servizio idrico nella nostra provincia. L’ingegner Saccani, dunque, dando per assodata la prosecuzione del rapporto contrattuale con i comuni dell’Ambito, preannuncia che la riorganizzazione aziendale, con l’aggregazione di Acea ATO 5 e Acea ATO 2, non comporterà svantaggi per gli utenti e che, perciò, l’Azienda “non ha alcuna intenzione di abbandonare la provincia di Frosinone”. E aggiunge che se si perseguisse “la strada della risoluzione del contratto” (quella che un numero sempre più consistente di sindaci ha ormai deciso di imboccare) ciò renderebbe “inevitabile la riapertura di quella stagione di contenzioso giudiziario che tanto male ha fatto al territorio”.
Concordo nella valutazione negativa – e sull’opportunità perciò di muoversi con la dovuta cautela – sui contenziosi intrapresi contro società forti di mezzi e competenze legali, soprattutto quando essi appaiono condotti con il freno a mano tirato, come nel caso delle ordinanze di riallaccio emesse da alcuni sindaci (tra cui il nostro) sorrette da lacunose argomentazioni giuridiche. Ritengo però doveroso, ancor prima che opportuno, agire con rigore, accettandone tutti i rischi – quindi anche quelli del ricorso ai tribunali competenti – quando ad essere in discussione sono questioni importanti che toccano i diritti dei cittadini, la salute delle famiglie, il loro diritto a godere delle condizioni minime della normale sopravvivenza.
All’origine di tutto – lo abbiamo ripetuto più volte in questi ultimi mesi – c’è lo sconsiderato contratto che una decina di anni fa venne sottoscritto tra i comuni dell’Ambito (rappresentati dal presidente della provincia di allora, l’attuale senatore Scalia) e l’azienda, omettendo tutta una serie di clausole che recassero impresso il semplice e indiscutibile concetto che l’acqua è un bene comune, indispensabile per l’esistenza, e che perciò, nella misura stabilita da solenni protocolli internazionali, deve essere assicurata a tutti. Il rapporto commerciale arriva dopo e non può compromettere il principio base. Se questo aspetto fosse stato tenuto nel debito conto, ci troveremmo oggi in una situazione assai diversa e il clima complessivo sarebbe non solo quello auspicato da Saccani di confronto e collaborazione ma anche, e soprattutto, di serenità basata sul rispetto delle esigenze vitali dei cittadini.
C’è però un passaggio dell’intervista dell’amministratore delegato dell’Acea ATO5 che va al di là delle più o meno puntuali espressioni di difesa del proprio ruolo e del proprio operato. È un punto che va sottolineato, perché suscita dubbi sulla reale volontà dei sindaci, o meglio di chi li rappresenta nel rapporto con l’Azienda, di procedere con la dura perentorietà che invece si proclama sui giornali. È la dove Saccani, replicando all’intervistatore, sulle contestazioni contenute nella relazione della Segreteria Tecnico Operativa (il comitato che sorveglia sulla correttezza nell’applicazione del contratto) presentata qualche giorno prima all’Autorità d’Ambito e nella quale si dà conto delle numerose omissioni dell’Acea sia riguardo l’attuazione del piano di investimenti sia riguardo gli interventi sollecitati dagli enti, afferma: “Guardi, a noi nessuno ha notificato nulla. Se e quando riceveremo, risponderemo con la consueta attenzione”.
Se le parole hanno un senso quest’affermazione significa due cose. La prima, che all’Acea non sono ancora pervenute le diffide che i sindaci e l’Autorità d’Ambito avrebbero dovuto prontamente inoltrare, come prima e diretta misura per contestare le inadempienze e mettere in mora l’Azienda.
La seconda è che, nei mesi passati e cioè nel momento più acceso del contenzioso tra comuni (là dove i sindaci hanno fatto sul serio) e i cittadini, da una parte, e l’azienda dall’altra, non ci sono stati atti formali, compiuti da chi ne aveva la facoltà e il dovere, per richiamare l’inadempiente a un corretto comportamento.
Comunque la si giri, in quest’affare dell’acqua c’è ancora troppo torbidume, fatto di ritardi, trascuratezze, complicità (quanto meno oggettive). Attendiamo, perciò, atti chiari, trasparenti nelle motivazioni e negli obiettivi. Per mettere subito sul giusto binario la procedura della risoluzione del contratto con l’Acea, evitando che tutti noi cittadini possiamo trovare conferma all’impressione, che abbiamo ogni volta che si affronti questo tema, di trovarci davanti a una spregiudicata messinscena di cui in troppi conoscono già il finale.