Federica, da Parigi ai giovani di Alatri

Domani, martedì 17 novembre alle 19, gli studenti di Alatri si ritroveranno in Piazza per gridare che il terrorismo, che ha sconvolto Parigi e ucciso centinaia di giovani, non diventerà padrone delle loro vite. Federica una ragazza di Alatri che studia in quella città, unisce la sua alle loro voci e, tramite discorsoincomune.com, racconta quello che ha vissuto in queste due giornate drammatiche. Ma invita anche a non fermarsi a Parigi.

@FedericaRossi

Quel venerdì sera, per diversi motivi, non sono uscita. Un po’ perché i miei amici erano impegnati ad accogliere ospiti che arrivavano per il week end. Un po’ perché il post-it digitale sul mio pc continuava a ricordarmi che due saggi con scadenza a breve ancora aspettavano di essere scritti. Stavo quindi passando la mia serata in solitudine facendo ricerche su internet. D’un tratto ricevo un messaggio da una mia amica italiana con un articolo che parla di una sparatoria in corso a Parigi. Penso a tutto meno che a un attacco terroristico. Pazzia, vendetta, regolamento di conti per droga. Poco dopo la notizia di alcune esplosioni allo stadio durante una partita. Penso di nuovo a tutto, meno che a un attacco terroristico. Saranno i tifosi che come al solito esagerano. Ma su Facebook cominciano a uscire sempre più articoli dalle pagine dei vari giornali e poco dopo non c’è più dubbio: Parigi è sotto un attacco terroristico. Dicono che siano entrati in un teatro durante un concerto e abbiano cominciato a sparare. Dicono che abbiano anche sparato in diversi locali, per strada. Diverse persone cominciano a contattarmi, anche gente che non sentivo da anni. “Fede stai bene?” “Sì che sto bene, sto a casa…”. Ci metto del tempo per realizzare che tutto sta succedendo a pochi chilometri da me, che la gente sta morendo a pochi chilometri da me, in posti dove se stasera non avessi deciso di essere asociale potrei trovarmi anch’io. Realizzo che Michele, un mio amico, a quell’ora si trova fuori casa perché va a prendere la sua ragazza all’aeroporto. Mando messaggi a raffica, non risponde. Lo chiamo, non risponde. Tipico di Michele. Non mi risponde mai al telefono. Dopo un po’ finalmente mi dice che sta bene, è all’aeroporto, sa cosa sta succedendo e che sta prendendo un taxi per tornare dritto a casa. Comincio a contattare tutti gli altri, stanno tutti bene. Un mio compagno di classe è allo stadio a vedere la partita, scrive su Facebook e tranquillizza dicendo che sta bene, sta tornando a casa anche lui dopo che la polizia li ha tenuti chiusi dentro lo stadio per sicurezza. Penso a tutte quelle volte che critichiamo i social network perché ci isolano e ci rendono più soli e a quanto invece li considero fondamentali in questo momento. Nel frattempo il bilancio dei morti continua a salire. 30,40,50… continuo a non crederci, continuo a non realizzare. E intanto tutti continuano a cercarmi per chiedermi se sto bene.

12241586_766684993458766_6813291887465148370_nMi sento anche un po’ in colpa. Non è di me che dovete preoccuparvi, penso. Dopo due tazze di camomilla riesco ad addormentarmi. Il giorno dopo mi sveglio con un bilancio dei morti ancora peggiore di quello che potevo immaginare. Siamo a 129. Cerco di seguire la mia solita routine giornaliera ma sono distratta, cerco di lavorare sul mio saggio di economia fiscale e monetaria ma non ci riesco. Decido di andare da Michele, almeno mi distraggo in compagnia e in più casa sua è invasa dagli ospiti dei suoi coinquilini che venuti per godersi Parigi non hanno nessuna intenzione di uscire. Le autorità consigliano di non farlo. Beh, d’altronde sarebbe strano se consigliassero il contrario. Punto sulla razionalità, sul calcolo delle probabilità. Ma mi accorgo che non funziona. Arrivo alla fermata e mi metto a pensare. E’ sicuro che io prenda l’autobus? O è meglio prendere un taxi? E questo tizio che parla da solo e con delle cose strane in tasca sarà un terrorista? Alla fine mi calmo, salgo sull’autobus e mi accorgo che non sono l’unica ad essere spaventata. Vicino a me c’è una coppia italiana con due figli piccoli, vogliono andare a Montmartre e lui sta controllando la mappa per assicurarsi che non sia in uno degli arrondissement dove ci sono stati gli attacchi. Se così fosse, non ci andrebbero. Il mio primo pensiero è e se anche fosse? Cosa cambierebbe per la vostra sicurezza? Ma alla fine lo abbandono e comincio ad ascoltare la musica. In fondo io ho pensato che quel tizio che parlava da solo fosse un terrorista. La domenica è forse il giorno più strano. Faccio la mia solita passeggiata lungo la Senna, il sole splende, il clima è mite, c’è tantissima gente. Tutti sembrano comportarsi esattamente. Parigi è bella anche quando è ferita, penso. Arrivo in un punto dove c’è una grande lavagna installata sul muro e di solito i bambini fanno disegni buffi. Oggi no, oggi quello che risalta all’occhio sono i tanti messaggi di pace. Il resto della giornata passerebbe come al solito, se non fosse per le sirene continue che sento da fuori, oltre che i continui falsi allarmi su altre sparatorie in giro per Parigi che provocano panico generale. Il giorno dopo l’università è aperta, ma si respira un’aria tesa. La mattina fanno evacuare la sede centrale per un allarme bomba. Si scoprirà che è perché un ragazzo ha dimenticato lo zaino. Insomma…Parigi riparte, si rialza ma si vede che ha paura. E in fondo, come potrebbe non averne? Mio padre mi chiede se voglio tornare a casa. Ci penso per qualche minuto, in effetti. In questo momento il mio paesino sulla collina, mi sembra un posto così sicuro, così isolato dal male del mondo. Ma poi penso anche che, in fondo, ormai considero Parigi una casa non meno del mio piccolo paese sulla collina. E se Parigi si rialza, io voglio essere qui a rialzarmi con lei. E credo che per quanto orribili siano stati i fatti di venerdì sera, quello che di buono possiamo tirare fuori è tutta la solidarietà che è stata dimostrata in Europa e nel mondo. Ecco perché mi fa piacere sapere che volete manifestare contro il terrorismo. E’ di questo che abbiamo bisogno oggi, di non sentirci soli. E fate sentire un po’ meno sola anche me. Ma solo una cosa vi chiedo. Non fatelo solo per Parigi e per la Francia. Quello di venerdì è stato un assaggio di ciò che interi popoli vivono ogni giorno. Non sentiamoci tutti francesi…sentiamoci tutti esseri umani. E’ di questo che c’è tanto bisogno: umanità. In fondo le parole di John Lennon del 1971 sono ancora molto attuali…no? “Imagine there’s no country, it isn’t hard to do, nothing to kill or die for, and no religion too, imagine all the people living life in peace…”

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