Il familismo amorale, esteso alla politica, è quella pratica che tende a soddisfare i bisogni del breve periodo del proprio nucleo familiare e di una strettissima cerchia di compari, tendente a disinteressarsi di qualunque investimento umano e culturale proiettato verso il domani.
Ad Alatri si esercita comunemente da qualche decade. E’ l’adagio per cui un lampione vale un voto, una gettata d’asfalto in un quartiere garantisce quantomeno la riconoscenza, una pensilina o una fermata dello scuolabus nei pressi della propria abitazione fa da prassi di fidelizzazione, è il mercato dei voti che si agita in un sistema di microscambi che consentono, gattopardescamente, che tutto cambi affinchè nulla si muova realmente.
Chiunque ha svolto o assistito ad una campagna elettorale ad Alatri questo lo sa benissimo. Impera il familismo così come è impresso quel circoscrizionalismo senza circoscrizioni per cui un candidato vicino di casa sarà spessissimamente preferito a qualcuno che si mette in gioco per e con delle idee. Questi due fattori, ben mischiati tra essi, costituiscono il terriccio della mente che conduce troppe persone verso la cabina elettorale.
Sparare sulla politica, infatti, sarebbe limitante e bugiardo: questo è un meccanismo bidirezionale che si afferma quando la complicità tra elettori e candidati è incrostata nella storia di un luogo e nel modus operandi di una comunità. Non esistono, insomma, cattivi politici e buoni elettori, cattive liste elettorali e cittadini per bene: esiste un incrocio tra curve, quella che rappresenta cosa gli alatrensi chiedono e quella che determina cosa la politica offre in funzione della domanda che riceve. La riflessione, tuttavia, deve riguardare gli effetti di questa pratica: il primo che risalta agli occhi è l’abbandono assoluto di chi non ha prospettiva. Diciamocelo, in un clima di serena compiacenza ciclopica: il nostro paesello si sta svuotando. Le giovani generazioni, infatti, se ne sono andate, se ne stanno andando, sognano di andarsene. Una società, è risaputo, per sopravvivere ha necessità di un cambio generazionale, di una cesura storica per cui tessuti lavorativi e culturali nuovi prendano il timone in mano e sostituiscano vecchi capitani più o meno coraggiosi. Non certo per spirito di rottamazione, quanto per il naturale e conclamato corso degli eventi.
Tuttavia, Alatri, questi ricambi non li ha. Certo, ci sono dei reduci che per volontà o necessità hanno deciso di rimanere ancorati alle mura ciclopiche ma sono sempre meno, sempre più gli stessi. Gruppuscoli di potere, con ogni probabilità, piazzerrano giovani a mo’ di figurine elettorali all’interno della quasi imminente fase di formazione delle liste elettorali, nel solito mix di familismo amorale e circorscrizionalismo. Qualcuno, forse, ci proverà in buona fede e con qualche credenziale ma solitamente questi soggetti ad Alatri non vengono votati a sufficienza.
La politica dell’orticello trionferà ancora una volta, la sagra del panino riecheggerà nell’aria con gli entusiasmi del momento, vincano il concerto di Gigione o i caroselli accompagnati dal buon vino a Basciano! Intanto Alatri viene abbandonata da chiunque scelga di studiare senza che si possa trovare mai un buon motivo per tornare indietro, tranne quello di salutare la propria famiglia. Un paese che non è capace di regalare una prospettiva di qualunque tipo alle proprie giovani generazioni è un paese destinato alla morte. Ricordiamocelo quando armati di familismo amorale e circoscrizionalismo latente ci recheremo al seggio elettorale.