@GiuseppeDiFabio
Premesso che per avvicinare le istituzioni al territorio occorre conoscerlo, la domanda da porsi è (plurima): quanto si conosce del territorio che si vorrebbe gestire? Come è stratificato all’attualità il complesso sociale alatrese, sia in senso quantitativo che qualitativo? Come si è andata e si va diversificando la popolazione sul territorio del Comune? Di quali istanze, valori e interessi sono portatori i cittadini nell’ambito dei vari distretti territoriali del Comune? E così via, nella considerazione che amministrare, soprattutto in senso giuridico, significa, comporre interessi.
Ogni processo di cambiamento deriva dallo sguardo conoscitivo delle persone che assumono su di sé l’impegno di guidare una comunità, o aspirano a farlo. Dietro la poca conoscenza o dietro lo scarso interesse a “conoscere” per ovvi benefici personali, la comunità viene sacrificata e avviluppata dalle pressioni cieche della “mano invisibile” di smithiana memoria.
La strategia da perseguire, che potrebbe consentire alla politica (melius: ai politici) di sottrarsi alle leghe, ai personalismi, ai renzismi e berlusconismi e agli arrabbiati, o riparte dal basso, dalla politica porta a porta, inizialmente anche senza intermediazione digitale, senza deleghe e paraventi, o rischia di rimanere com’è. Occorrerebbe tornare a parlare di cosa pubblica guardando negli occhi le persone, per capire quali sono i loro interrogativi e problemi, ma soprattutto per vagliarne la sincerità.
Esiste a tal riguardo un organismo amministrativo che si interfaccia con i cittadini, che raccoglie il feedback proveniente dalla gente e che permette di operare in termini propositivi rispetto alla passività apparente (?) della politica e di rispondere alla domanda: Cosa serve e come deve essere propinato ciò che serve? Il primo ufficio che istituirei sarebbe proprio questo: un URP (ufficio relazioni con il pubblico) che rende protagonisti le persone e non l’ente amministrativo.
Esiste, inoltre, un organismo amministrativo che consente di dialogare con i cittadini permettendo loro di presentare progetti, iniziative, programmi e proposte, con la garanzia che tali progetti, iniziative, programmi e proposte vengano effettivamente analizzati?
Da questo nucleo critico di base discendono alcune considerazioni di ordine pratico, che riguardano le modalità attraverso le quali realizzare e comporre gli interessi in campo. In tale ambito la discussione dovrebbe vertere su problematiche effettive, su questioni concrete che riguardano la quotidianità delle persone e delle aziende operanti sul territorio.
Prendiamo, per esempio, il problema della ricettività ed accoglienza del paese in favore dei flussi turistici: quante e quali strutture alberghiere o paralberghiere operano nel Comune? Quale flusso turistico sarebbero capaci di reggere? Come aumentare la portata del flusso e nello stesso tempo migliorare la capacità ricettiva? Come porre fine al dilemma dell’investimento in strutture senza apporto turistico? Il territorio e le sue ricchezze monumentali e specificità culturali quale potenzialità hanno in termini di attrazione turistica, dove si potrebbe arrivare in caso di incentivazione della rete di accoglienza?
Oppure parliamo di scuola: quanto della storia e della conoscenza che si origina dal nostro territorio giunge a incidere nella consapevolezza culturale quotidiana degli allievi? Può bastarci il festival del folklore, o la festa delle cipolle, o il palio delle quattro porte per conferire identità ad una comunità e ai suoi membri più esposti alle influenze del nostro tempo? Possono essere sviluppati programmi anche collaterali che ci rendano consci del nostro passato e delle nostre radici?
O parliamo di pulizia e bonifica del territorio: quanto potrebbe essere più appetibile il godimento che si trae dall’ornato e decoro urbano perfettamente ristabiliti per i residenti e i visitatori? Quanto il gesto di tirare a lucido le nostre strade inciderebbe sulla fruibilità estetica del borgo, ad esempio?
Oppure ancora pensiamo al problema delle case sfitte o abbandonate dai proprietari: non potrebbe essere l’input per lottare contro l’abbandono dei centri storici?
E l’energia, come non parlare dell’energia? Perché non investire sul fotovoltaico, come si fa ormai sempre più spesso in Comuni, soprattutto dell’alta Italia, che raggiungono uno status virtuoso dal punto di vista finanziario installando pannelli fotovoltaici in tutti i propri edifici pubblici, scelta questa che consente non solo di affrancarsi dalle spese per l’energia elettrica, ma è idonea a sviluppare un indotto economico e un beneficio di tutta la collettività?
E così per ogni materia e argomento: cosa sappiamo noi del territorio veramente? Si possiede un’analisi conoscitiva di ciò che ci circonda? Se la risposta è no, occorre procurarla, ad ogni costo. È un compito veramente difficile, ma partendo dalle esigenze reali della cittadinanza e del territorio qualcosa si può tentare.
Due mesi fa c’è stata una conferenza del GAL, nell’occasione ho parlato con un rappresentante del Comune di Alatri al quale ho presentato brevemente l’associazione che ho costituito con altri amici (Terre erniche) e i suoi scopi. Il mio interlocutore, a ragione, mi ha risposto: “Questo c’è rimasto, la “Terra” e l’agricoltura...”. Io ho annuito ma ho pensato dentro di me: ” E ti pare niente!!!”. La discussione non può non partire dal dato economico: sono quasi vent’anni che con il mio amico Pietro Antonucci parliamo delle occasioni perse dai Comuni della Ciociaria per non aver approfittato dei mezzi istituzionali e non (leggasi conferenza di servizi, facoltà ex lege n. 142/1990 etc) al fine di svincolarsi dalle pastoie dei mille campanilismi sorti e risorti nel corso degli anni. Se si fosse fatto qualcosa venti anni fa, a che punto saremmo stati oggi nella programmazione degli obiettivi, dell’amplificazione dell’indotto culturale e turistico? Ci sono decine e decine di campi in cui si dovrebbe intervenire perché siamo indietro. Trovo che il nostro futuro è radicato in un passato remotissimo (le Mura e le antichità archeologiche etc), coniugato con un passato recente (l’agricoltura, la terra e il folklore – non quello o non solo quello del festival) e il cui legame con il presente è stretto dalla vocazione all’accoglienza. Condizione questa che implica la volontà di rischiare, di aprire nuove strutture e via cantando.